Michele Emiliano ha parlato con il Fatto Quotidiano delle accuse che gli sono piovute addosso dopo le parole pronunciate su Antonio Decaro, sindaco di Bari, a proposito di presunti incontri con il boss Capriati.
«I miei ricordi sono puntuali, esatti. Antonio, allora mio assessore, stava per impiantare le telecamere e chiudere al traffico i vicoli di Bari Vecchia. Per chi era dedito al contrabbando e allo spaccio, al furto e all’estorsione le telecamere avevano il senso di una pugnalata mortale, un atto ostile, definitivo».
Ma un sindaco dell’antimafia non va dal mafioso a dirgli: ti affido il mio assessore. Altrimenti trasforma i Capriati da gangster in tutor civici: «Possiamo discutere intorno all’appropriatezza del verbo, ma non posso concedere legittimità alla violenta mistificazione che si sta facendo di quell’incontro. Io vado lì perché conosco anche il colore degli occhi di quella gente in ragione del fatto che fino a qualche mese prima il sottoscritto li faceva arrestare, mica li conduceva a teatro. E vado lì perché una città si amministra anche con azioni di moral suasion. Ho teorizzato la costruzione di una rete antimafia sociale convinto come sono che il codice penale da solo non basta a piegarla».
Però affida il sindaco alla sorella del boss: «Dico alla sorella del boss di capire e far capire che le misure che stava attuando l’assessore erano anzitutto provvedimenti a tutela della pubblica incolumità. E lì c’erano figli piccoli. Come sindaco mi facevo carico delle azioni del mio assessore e della responsabilità politica di coinvolgere chi è ai margini, farlo venire dentro al circuito civile. Chi vive ad Aosta ha capito che anche il Pd s’imbuca con i mafiosi, viene a patti con loro. Io stavo parlando a Bari e infatti la città non crede a una parola di quel che dice la destra».
«E l’episodio due anni fa l’ho rievocato in un bel dibattito fatto a Telenorba con i maggiorenti del centrodestra. Nè D’Attis né Gemmato, né Sisto in quell’occasione dissero alcunché, perché conoscevano il contesto. Decaro non ricorda di essere andato dalla sorella del boss. è altamente probabile che non conoscesse i volti che per me erano invece familiari, come è possibile che, abitando nei bassi che danno sulla strada, io mi sia fermato a parlare con la sorella e lui sia stato chiamato da qualcuno nei paraggi».
«Stamane Antonio quando ha visto la fotografia in prima pagina che lo ritraeva insieme a due signore dal cognome ora famoso ha dovuto chiedere al comandante della stazione dei carabinieri di Bari Vecchia chi fossero. Io invece non ne ho avuto bisogno: conoscevo i volti perfettamente e sapevo della loro assoluta estraneità al contesto malavitoso. La manovra sconsiderata e manipolatrice non si è invece curata di considerare che i Capriati sono una famiglia numerosa e quel cognome è portato anche da gente perbene, incensurata, assolutamente estranea ai fatti come appunto le signore ritratte».
Nichi Vendola, suo predecessore, lo accusa di aver usato parole scomposte: «Non c’è un vicepresidente della mia giunta ad aver avuto problemi con la giustizia, un assessore della mia giunta a doversi spiegare con i magistrati. Nichi invece li ha avuti. Resta l’effetto collaterale delle sue parole: ha dato l’assist alla destra che era in difficoltà per quel suo tentativo di prendersi il municipio attraverso il ministero dell’Interno».
«Con me chi sbaglia paga. I patti sono chiari. Invocare il codice penale come unico limite alla decenza non è il massimo del rigore», conclude Emiliano.