Il deputato Pd ed ex ministro del Lavoro Andrea Orlando, in una intervista a La Repubblica, ha parlato della Manovra varata dal governo Meloni, approdata in Parlamento e subissata di critiche da opposizione, sindacati e Confindustria.
Una Manovra che non è vero non abbia una visione, ce l’ha, è una legge corporativista e liberista che tra le tante propone 20 miliardi di privatizzazioni. Uno degli aspetti più gravi, di cui si parla troppo poco. Perché molti pensano alla fine non si faccia, ma un po’ come la proposta sulla riforma costituzionale non va sottovalutata. Dopo le privatizzazioni degli anni Novanta, per cui anche la sinistra dovrebbe chiedere un po’ scusa, oggi qualunque intervento di privatizzazione andrebbe a gravare su settori strategici, dalle infrastrutture all’energia. Esattamente l’opposto di quanto sta succedendo negli altri paesi europei – ricorda Orlando – il segno della sottovalutazione del governo delle sfide geopolitiche che abbiamo davanti».
«La proposta sulle riforme è servita a distrarre l’opinione pubblica nel pieno della discussione sulle difficoltà della Manovra e sui tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici, ma non va sottovalutata. Non c’è un disegno, una visione, ma proprio per questo potrebbe diventare una pistola sul tavolo, con il rischio di essere utilizzata nel momento in cui le difficoltà dovessero crescere – osserva l’esponente dem – come exit strategy per il governo in tempi ancora più difficili. Il rischio è che davvero a incapacità di muovere il volante e governare si possa finire per dare la colpa al volante, ed è il motivo che servirà per contrastarla con nettezza da subito»
«Il segnale più importante doveva essere ed è stato certificare per il Pd il ruolo di perno di un’alternativa che sia in grado con più determinazione di combattere Meloni. Si è fatta giustizia di una certa letteratura manierista che voleva il partito in fase di pre liquidazione, diviso, quando nel gruppo dirigente del Pd c’è piuttosto la netta consapevolezza di come oggi l’unità non sia un accessorio ma la condizione essenziale anche per ricostruire una coalizione più ampia e provare a incidere sugli equilibri economici e sociali del Paese, quelli che dovrebbero più preoccupare tutti quanti, anche chi governa».
«La giornata di sabato ha parlato a tutti, inducendo all’unità nel Pd ma parlando anche al resto della coalizione. Giuseppe Conte, così come Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, sono stati accolti con affetto. Sarebbe successo anche a Carlo Calenda, che quando avrà posato lo smartphone, al di là della sua compulsività da social e al suo rifiuto per la coalizione, se davvero ha realizzato l’irriformabilità del melonismo penso anche lui sarà costretto a riflettere sulle necessità del dialogo».
«È partendo da una centralità dei temi economici e relative conseguenze sociali che si potrà parlare anche ad altri elettorati, anche a un elettorato di destra, al non voto ingannato dal populismo di chi ha fatto e vinto la campagna elettorale sulla contraddizione tra popolo ed e’lite, per poi tagliare su pensioni e sanità, fare cassa sui pannolini e non sulle banche. Da qui alle Europee il Pd credo debba pensare a una parola d’ordine, la società italiana per l’Europa sociale. Dobbiamo pensare al massimo coinvolgimento di tutte le forze interessate anche in liste e candidature, consolidare una coalizione che dovrà essere la coalizione de Pnrr, nel senso di interventi pubblici per la lotta alle diseguaglianze e per la transizione ecologica. Il primo passaggio per essere credibili, però, sarà l’opposizione che metteremo in campo sulla legge di bilancio».
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