Che fare del Pd? Riformarlo o farlo diventare quello che dovrebbe essere e che non è mai stato?
“L’attuale Manifesto dei Valori del Partito Democratico fu approvato il 16 febbraio 2008, pochi mesi dopo le primarie che elessero Walter Veltroni segretario. A chi avventatamente mette nel mirino la sua ispirazione di fondo, giova ricordare che a coordinarne la stesura furono allora personalità di alto e indiscusso valore come Alfredo Reichlin e Mauro Ceruti. Nessuno dei due è mai stato considerato, che io sappia, un blairiano, o un fautore del neoliberismo, o un seguace dell’ordoliberalismo, o un propugnatore di una globalizzazione incontrollata, o un uomo insensibile alle ingiustizie e alle disuguaglianze».
Lo sottolinea il senatore Dem Dario Parrini. «La questione essenziale – osserva – è dunque la seguente. Se si continua a volere che il Pd sia, ragione per cui nacque 15 anni fa al Lingotto, la casa plurale del riformismo italiano, dalla quale si ambisce a rivolgere al Paese una proposta politica attenta ai problemi dell’equità sociale e dello sviluppo, e perciò condivisibile dalla maggioranza dei cittadini, quel Manifesto, pur avendo bisogno di correttivi, va più attuato che cambiato. Di sicuro non va rottamato».
«Se al contrario – conclude – si ha in mente di fare del Pd un partito a vocazione minoritaria, questa non è operazione fattibile nell’ambito del processo di revisione di una Carta di Valori: si tratta di una scelta legittima ma di sicuro assai controversa e discutibile, che come tale deve essere affrontata e portata alla luce del sole nella sua sede propria, che è quella della competizione congressuale tra diverse mozioni e diversi candidati». .