Per dirla con Flaiano, “la situazione politica in Italia è grave ma non è seria”. E dopo lo show di Berlusconi è tragicomica. In una delle fasi più drammatiche della nostra storia (guerra, clima, pandemia, crisi energetica, economica e sociale alle porte, povertà e diseguaglianze che riesplodono) lo spettacolo offerto dalla nostra classe dirigente è desolante. Forze politiche che sanno guardare solo al proprio ombelico. Leader dall’ego ipertrofico ma di una inconsistenza disarmante che si odiano l’un l’altro. Il governo di unità nazionale per il bene comune (sulla carta) e il presidente del consiglio con la maggiore credibilità internazionale (al di là del giudizio che si può avere su di lui) mandati a casa in un amen, a sei mesi dalle elezioni. La maggioranza bulgara uscita dalle urne che si squaglia prima ancora di insediarsi.
La Costituzione antifascista e laica nata dalla Resistenza messa in discussione dalla seconda e terza carica dello Stato: il primo (La Russa) nostalgico del Duce e il secondo (Fontana) di Santa Romana Chiesa. Le minoranze che invece di unirsi in una decisa opposizione marciano l’un contro l’altra armate correndo in soccorso dei vincitori. Una politica talmente impazzita che nemmeno la costituzione e la partenza del governo Meloni appaiono oggi così scontati.
Riavvolgiamo un attimo il nastro. Complice la scelta suicida del centrosinistra di andare diviso, il centrodestra prevale alle le elezioni. A stravincere sono i post-fascisti di Fratelli d’Italia che guadagnano quasi sei milioni di voti, mangiandoli però quasi tutti alla Lega e a Forza Italia. Complessivamente la coalizione ha gli stessi voti di quattro anni fa, ma con il Rosatellum si prende la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Sembrerebbe fatta per Meloni. Ma alla prima prova, l’elezione del presidente del Senato, Forza Italia si sfila e La Russa viene eletto solo grazie ai voti di una ventina di senatori dell’opposizione.
Con Berlusconi che gli manda un “vaffa” ed esibisce un pizzino in cui definisce la Meloni “supponente, prepotente, arrogante, offensiva, con nessuna disponibilità al cambiamento”. Insomma, una “di cui non ci si può fidare”. La risposta è rabbiosa: “Manca una frase, non sono ricattabile”, dice la premier in pectore ammettendo indirettamente che un tentativo di ricatto tra alleati è in corso.
È il segnale dei forti malumori che ristagnano nella destra, unita alle urne ma profondamente divisa sulle politiche e soprattutto nelle sue leadership. Berlusconi ormai è un vecchio rimbambito, ogni volta che parla i suoi stanno col fiato sospeso e incrociano le dita. La famiglia e le badanti hanno cercato di metterlo sotto tutela, ma lui è ingovernabile, è abituato da sempre a comandare, non accetta e non accetterà mai ruoli da comprimario, tanto meno di sottostare a Giorgia, una donna, che lui ha portato al potere e ora si permette di dirgli “non sono ricattabile”.
Salvini è il Capitano degradato sul campo a caporale di giornata. Dal Papeete in poi non ne ha azzeccata una. Aveva in mano la golden share e se l’è giocata andando a suonare citofoni, indossando felpe putiniane, esibendo rosari, collezionando una serie incredibile di brutte figure. Sognava di diventare premier, o almeno di riavere il Viminale, ma con le sue gaffes e i suoi errori politici si è giocato mezza dote, l’appoggio del mondo economico che lo sosteneva e gran parte della credibilità del suo stesso partito. Considera la Meloni colpevole del suo fallimento, penso che sotto sotto la detesti e mediti vendette, anche se ora si fa vedere ciccicicci miaomiao con lei.
Futura premier che intanto cerca di fugare i dubbi sulla natura fascistoide del suo partito (la fiamma, i riferimenti ad Almirante), di riposizionarlo in chiave europeista e atlantista, di accreditarsi come leader affidabile, portatrice dil rinnovamento politico. Ma quando cominciano a circolare i nomi dei ministri, le facce sono quelle di sempre: Calderoli, Casellati, Tajani, Bernini, Nordio, Fitto, Lupi, perfino la Santanché. Mancano solo Tremonti, Scajola, Brunetta, la Gelmini e il governo sarebbe la fotocopia del Berlusconi IV, il passato che ritorna. Poi il colpo di scena. Berlusconi che prima viene convinto a non mettersi di traverso va dalla Meloni in via della Scrofa (a Canossa) e sigla la pace.
Sembra fatta. Ma il giorno dopo ecco lo show che rimette tutto in discussione. “Ho riallacciato i rapporti con Putin, per il mio compleanno mi ha mandato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima, è un uomo di pace, sono il primo dei suoi cinque veri amici” (mentre a Porta a Porta il presidente della Camera torna a mettere in discussione le sanzioni contro Mosca). “Non ho niente contro la signora Meloni, mio figlio è suo amico, il suo compagno lavora a Mediaset”. “C’è l’accordo, ecco la lista dei nostri ministri, alla Giustizia andrà la Casellati”. Imbarazzo generale. Meloni infuriata. Sconcerto in Forza Italia.
Il direttore di Libero, Sallusti, che arriva a scrivere una accorata lettera-appello al suo mentore perché se ne sia buono e zitto. Cala il silenzio. Si finge di parlar d’altro. Aspettando l’incarico di Mattarella. Fino al prossimo showdown. Per fortuna loro, con l’opposizione che non c’è.
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