L’estrema destra arriva, non si fa scrupoli e a sinistra? Adesso il Pd prova ad accelerare, dopo la rissa tra le opposizioni andata in scena ieri al Senato e la corsa in ordine sparso oggi alla Camera durante la votazione del nuovo presidente.
Martedì bisognerà eleggere subito i capigruppo, anche se un’intesa allo stato non è ancora stata trovata, poi sarà la volta dei vice-presidenti delle Camere – e qualcuno tra i deputati ha anche lanciato il nome di Alessandro Zan, per fare da contraltare a Lorenzo Fontana.
Ma ci sarà anche una nuova direzione del partito, per fissare le tappe del “congresso costituente” che a questo punto diventa sempre più urgente, come sottolinea per esempio Enrico Borghi: “Mentre noi ci balocchiamo tra costituenti, congressi, regole e amenità simili, altri in politica stanno correndo, e fanno la corsa su di noi!”.
Letta, del resto, ha sempre detto di essere contrario a rimandare tutto alle “calende greche”. Il segretario inizialmente pensava a gennaio-febbraio come data per la conclusione del percorso, poi è arrivato a indicare “la fine di marzo” per le richieste di mezzo partito di dare tempi adeguati alla “fase costituente”.
Ma Letta è determinato a fare in modo che tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera il partito abbia un nuovo segretario e un nuovo gruppo dirigente e per questo in direzione indicherà il timing di tutte le tappe del congresso.
Per quanto riguarda i capigruppo, la discussione è ancora ferma sul dilemma: confermare le uscenti Malpezzi-Serracchiani in attesa del congresso o eleggere subito due nomi nuovi, possibilmente sempre donne? In questo secondo caso Valeria Valente (Senato) e Anna Ascani (Camera) sono i nomi più accreditati, ma per palazzo Madama si parla anche di Anna Rossomando. Per le vice-presidenze, appunto, tra i deputati democratici oggi più d’uno ha proposto Zan in “risposta” a Fontana, ma la più accreditata resta ancora Debora Serracchiani, se non rimarrà al suo posto di capogruppo. In corsa per la vice-presidenza di Montecitorio, peraltro, c’è anche Nicola Zingaretti, mentre al Senato potrebbe andare Simona Malpezzi (anche in questo se non verrà confermata capogruppo) o Graziano Delrio, mentre al Pd definiscono “una boutade di Renzi” l’ipotesi che possa toccare a Dario Franceschini.
Altro capitolo delicato è quello delle commissioni di garanzia.
Il Pd non intende rinunciare al Copasir – che i democratici non vogliono lasciare a un partito come M5s che ha posizioni troppo poco atlantiste – ma i 5 stelle rivendicano la Vigilanza, chiesta anche dai centristi.
Di sicuro, Letta è ancora più convinto che alla lunga non si possa procedere con un fronte delle opposizioni così diviso e rissoso. Il segretario Pd è convinto che queste siano le scorie di una campagna elettorale fatta ognuno per conto proprio e che pesino anche questioni personali che si sono create nei mesi scorsi, ma Letta è anche certo che proprio ciò che è accaduto in queste ore conferma la necessità almeno di un “minimo comune denominatore”.
D’altro canto, il leader Pd sa che serve “volontà politica” per arrivare a questo risultato ed è consapevole che in questo momento non ci sono le condizioni. Sull’elezione di Fontana Letta è stato netto, “l’Italia non merita questo sfregio”. Per il Nazareno, però, “stride la reazione di Conte su Fontana, considerando che era uno suo ministro di punta nel ‘Conte I'”.
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