Una uscita “fake” e una promessa inquietante. Il protagonista è sempre lui. Il campione nazionale di “farlocchismo”. Il record man di esibizioni mediatiche “muscolari”. Il Capitan Fracassa della politica italiana. Al secolo Matteo Salvini.
L’ultima sparata
La racconta molto bene su Repubblica Alessia Candito. Scrive tra l’altro: “ Dopo settimane passate alla ricerca della photo-opportunity con l’hotspost stracolcomo a fare da sfondo, è da Catania che il leader della Lega tuona: “A Lampedusa i clandestini scappano dal centro, rubano macchine, motoscafi, barche dei pescatori”. Ma è tutto falso Fonte dell’atto d’accusa? Il vicesindaco dell’isola, Attilio Lucia, fervente leghista e orgoglioso chaperon del “Capitano” nelle sue ripetute incursioni sulla più grande delle Pelagie. Magari, però, non troppo attento ai dettagli. A inizio agosto, ha finito per far fare all’inconsapevole leader della Lega un giretto turistico dell’isola a bordo della Gamar, barca diventata simbolo dell’accoglienza dopo il salvataggio di 47 persone. Salvini lo ha scoperto dai giornali. E adesso rischia di procurargli qualche nuovo imbarazzo. “I clandestini che scappano dall’hotspot hanno rubato una macchina e due motoscafi nelle ultime settimane”, conferma Lucia. Ma il primo a smentirlo è il suo sindaco, Filippo Mannino. “Emergenza sicurezza a Lampedusa? Non direi proprio”, ribatte senza esitare. E queste presunte fughe dall’hotspot? “Al massimo si tratta di qualche ragazzino che esce per andare al supermercato per una coca-cola o un’aranciata. Non credo rappresenti chissà quale pericolo”. Del resto, ricorda, la struttura è recintata, con militari a presidiarne buona parte del perimetro e agenti di polizia stabilmente all’interno. “Capita che ci siano i cosiddetti sbarchi autonomi, piccoli gruppi che approdano lontano dal paese e si dirigono verso l’abitato. Ma non hanno mai causato alcun problema”. Insomma, il caso sollevato dal suo vicesindaco e rilanciato da Salvini non esiste. Così come i furti. “C’è stato solo un caso e si tratta di un episodio isolato – chiarisce Mannino – Un migrante ha rubato un’auto, ma è stato rintracciato nell’arco di un paio d’ore”. Furto che non ha richiesto poi neanche troppa destrezza: le chiavi erano inserite e l’uomo è stato individuato e arrestato “in mezzo pomeriggio”, chiariscono fonti investigative.
Di sottrazione di motoscafi e barche di pescatori, invece, non c’è traccia. Circa due mesi fa è sparita una barca, ma non ci sono mai stati arresti. Da registri e fascicoli, il dato emerge in modo chiaro: fatta eccezione per quell’auto sparita e subito restituita al proprietario, procedimenti a carico di migranti per furti, scippi, rapine o violenze a Lampedusa, non ce ne sono. E gli investigatori non sono certo rimasti con le mani in mano. Dall’inizio dell’estate, i carabinieri hanno individuato e arrestato un uomo che nascondeva diciotto chili di cocaina pronta per essere spacciata, e un altro, trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa e colpo in canna. Ed entrambi sono pregiudicati italiani”. L’articolo prosegue ma il pezzo citato basta e avanza per raccontare le improvvide gesta del Capitan Fracassa leghista.
I precedenti
31 agosto. Dai resoconti di agenzia. “Visita a sorpresa di Matteo Salvini a Lampedusa. Il leader della Lega ha visitato l’hotspot dell’isola senza preavviso, dopo giorni di ripetuti sbarchi. “Quella alle mie spalle non è accoglienza, non è solidarietà. È un deposito, una roba indegna di un Paese civile” ha affermato il leader della Lega. “Quei bimbi non dovrebbero essere lì sbattuti per terra – ha aggiunto – E chi è qua per la quinta volta clandestinamente non dovrebbe esser qua”. E poi la promessa da far rabbrividire: “C’è una ondata di immigrazione clandestina come mai negli ultimi anni. E non è sopportabile. I decreti di sicurezza possono essere rimessi in vigore adesso, parliamo di realtà, e costano zero. Sono già stati sperimentati e hanno funzionato. Non capisco perché occorre inventarsi robe che non si sono mai applicati” proclama Salvini da Palermo, sempre il 31 agosto. “C’è un ministro in carica – aggiunge – che è la Lamorgese. Li vuole applicare? No. Allora, fra un mese la Lamorgese, se gli italiani sceglieranno la Lega, non sarà più ministro. Quindi al primo Consiglio dei ministri io riporterò i decreti sicurezza che hanno già funzionato. E funzionavano anche su antimafia, antidroga, antiusura. Poi il Partito democratico, per ideologia, li ha cancellati”.
Quei famigerati decreti
A quanti hanno memoria corta, consigliamo la lettura, qui di seguito riportata, di un puntiglioso, documentato report di Serena Chiodo su openmigration.org, pubblicato il 19 novembre 2020 , a due anni dall’entrata in vigore di quei decreti.
Scrive Chiodo: “Un sistema di accoglienza distrutto, l’aumento delle problematiche già presenti e lo smantellamento delle buone prassi: è il quadro tracciato da ActionAid e Openpolis nel dossier Il sistema a un bivio, che analizza l’accoglienza a due anni dal Decreto sicurezza dell’ex ministro degli Interni Salvini convertito in legge nel dicembre 2018 dal primo governo Conte. Uno studio che già nel nome indica l’urgenza di compiere delle scelte. Un primo passo è stato fatto: il governo ha finalmente modificato il Decreto sicurezza, in ritardo rispetto alle previsioni. Il parlamento ha ora due mesi per convertire in legge quanto introdotto per decreto: ma “difficilmente si arriverà a cambiamenti strutturali” secondo le due realtà autrici del dossier, che evidenziano come il testo, figlio di una lunga negoziazione, tradisca ancora “un approccio securitario”. L’intervento, seppur parziale e tardivo, rappresenta comunque “un passo avanti” specifica Fabrizio Coresi, Migration Expert di ActionAid: davanti a cui farne però molti altri, a partire da alcune urgenze delineate nel dossier.
Un’accoglienza senza controllo
“Affinché il sistema di accoglienza raggiunga una piena efficacia è necessario che diventi più trasparente”: così ActionAid e Openpolis, evidenziando la difficoltà di reperimento dei dati. Un aspetto su cui insistono da tempo: proprio grazie a una loro battaglia il Tar ha imposto al Viminale il rilascio di dati che permettano analisi indipendenti sull’accoglienza. Ciononostante le informazioni continuano a essere lacunose. Un problema che ha costretto le due associazioni a basarsi sui bandi di prefetture e Anac, piuttosto che su dati ministeriali.
Un sistema emergenziale e non strutturato
Criticità strutturali, assenza di monitoraggio, disomogeneità: da tempo l’accoglienza in Italia non gode di buona salute. E se l’implementazione di un sistema di accoglienza incentrato sul sostegno all’inclusione e sulla tutela dei diritti non è stato al centro dei programmi politici degli anni scorsi, il Decreto sicurezza non si discosta da tale orientamento, al contrario aggrava le problematiche presenti. In particolare l’eliminazione della protezione umanitaria, che getta migliaia di persone nell’irregolarità, e la riformulazione dello Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) in Siproimi (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati) esclude da questo tipo di accoglienza i richiedenti asilo (oltre che i titolari dell’ex protezione umanitaria), con l’effetto di aumentarne la vulnerabilità e spezzarne i percorsi di vita nel paese. Sono i Cas (Centri di accoglienza straordinaria, a gestione prefettizia), pensati inizialmente come strutture emergenziali, a diventare quelli che il dossier definisce “contenitori in cui i richiedenti asilo attendono l’esito della propria domanda di protezione internazionale”. Un’attesa che può durare un anno o più, e che per i richiedenti asilo diventa per decreto “un tempo vuoto”.
Grandi centri, pochi servizi: un sistema dannoso
Nessun accompagnamento all’autonomia dunque, ma solo vitto e alloggio: questo prevede il ‘Decreto sicurezza’ per chi richiede asilo, con una “logica volta al controllo sociale più che all’inclusione”. A parte le questioni di merito, il decreto ha comportato problemi anche sul piano gestionale: se nelle dichiarazioni si prevedono diversi tipi di contratto a seconda delle dimensioni dei Cas, con l’intento ufficiale di voler “favorire l’accoglienza diffusa o comunque quella più adatta a ciascun territorio”, nella pratica si procede con tagli dei costi per tutti i tipi di struttura, senza distinzione. Una misura prevista dal capitolato di gara del dicembre 2018, che ha incentivato le strutture di grandi dimensioni penalizzando l’accoglienza diffusa sul territorio: molti gestori hanno infatti deciso di non rispondere al bando giacché “per molte realtà del privato sociale, limitarsi a fornire servizi di vitto ed alloggio non giustifica la partecipazione”. Specularmente sono cresciuti soggetti “disposti a gestire strutture ridotte a dormitori, enti con dichiarato scopo di lucro o privi di competenze ed esperienze”.
Un paese diviso
Sul piano della gestione amministrativa dell’accoglienza, ActionAid e Openpolis mostrano un’Italia divisa a metà. L’analisi degli importi prefettizi per i vari Cas -unità abitative, strutture fino a 50 e 300 posti- mostra due tendenze opposte, che seguono orientamenti già presenti: nel centro nord, soprattutto nel nord-est, le prefetture hanno provato a mantenere un’accoglienza diffusa, virtuosa sia per gli ospiti dei centri sia nel rapporto con la comunità (59,2% la quota messa a bando dalle prefetture del nord-est per centri composti da singole unità abitative), mentre nel sud “il modello dell’accoglienza diffusa resta residuale, a vantaggio dei centri di grandi dimensioni [..] terreno fertile per le speculazioni”. Un orientamento confermato dai due case studies presentati nel dossier: Sicilia e Friuli Venezia Giulia.
Come conseguenza dei problemi originati dal Decreto sicurezza e dal capitolato di gara molti bandi prefettizi sono andati spesso deserti, obbligando le prefetture a ripresentarli più volte: ben trentaquattro prefetture, circa un terzo del totale nazionale, hanno ripetuto le gare. Emilia-Romagna (27 ripetizioni), Toscana (25) e Lombardia (23) le regioni in cui il problema si è presentato con maggior frequenza, a conferma della divisione tra nord e sud del paese.
Nessuna soluzione strutturale: quando il mercato pesa più della qualità
Il problema della ripetizione dei bandi è noto al Viminale: lo scorso febbraio con una circolare indicava alle prefetture alcune soluzioni, caldeggiando in particolare la procedura negoziata. Le procedure aperte, di cui si stava iniziando a registrare una tendenza positiva, vengono derogate in virtù di una più rapida assegnazione, a scapito di una maggiore e sempre più necessaria trasparenza: dopo la circolare, le procedure negoziate passano dal 16% al 27%.
Si invitano inoltre le prefetture a proporre bandi per tipologie di centri diverse da quelle per cui la gara non ha avuto risposta: in altre parole “se le gare per l’accoglienza in unità abitative sono andate deserte mentre quelle per grandi centri sono state assegnate, si proporranno nuove gare per questa seconda tipologia, abbandonando ogni tentativo di accoglienza diffusa”.
La circolare suggerisce anche di rendere meno stringenti i requisiti di accesso alla gara, provocando “un’ulteriore riduzione delle garanzie di qualità e affidabilità dei gestori [..] rispondendo in qualche modo alle necessità del mercato ma senza considerare che parliamo di diritti”, mentre i piccoli gestori a vocazione sociale escono dal sistema data l’impossibilità di sostenere forme di micro accoglienza diffusa.
La circolare ministeriale, ufficialmente un tentativo di risolvere il problema della mancata assegnazione dei posti in accoglienza, non affronta le problematiche alla base della questione né scioglie il nodo per cui viene presentata. Se da una parte si ha un abbassamento della qualità del servizio, dall’altra non c’è nemmeno una riduzione dei bandi andati deserti: analizzando i dati Anac, ActionAid e Openpolis riportano un leggero aumento delle gare con esito negativo. Un dato che potrebbe aumentare nei prossimi mesi: “I contratti messi a bando dopo la circolare sono più recenti e per molti di questi l’esito è ancora incerto o il risultato non è stato ancora aggiornato nel database Anac”. Emerge ancora il problema dei dati.
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