Chissà quanto durerà questa ostinazione del Cavaliere di voler fare il Capo dello Stato. Lo ha tentato nel giugno del 2006 attraverso un pericoloso referendum sulla seconda parte della Costituzione con un risultato negativo (NO:62,39% – SÌ:38,71%) addirittura peggiore rispetto a quello del 2016 di Renzi-Boschi (NO: 59,12% – SÌ:40,88%).
È un cavallo di battaglia praticamente da sempre l’elezione diretta del Capo dello Stato senza però che si sia mai riusciti a realizzarlo né attraverso speciali commissioni di riforma costituzionale né con referendum più o meno velleitari.
Può spiacere o meno ma certo gli italiani – che del resto hanno scelto a suo tempo la forma repubblicana e non quella monarchica – non muoiono dalla voglia di avere il re o la regina e preferiscono un presidente eletto ogni sette anni dai due rami del parlamento integrati da rappresentati delle Regioni con garanzie anche per le opposizioni.
La storia di questi settant’anni di elezioni al Quirinale ha tuttavia mostrato problemi e difficoltà dovuti alla complessità del nostro sistema politico e in particolare al travaglio dei partiti, dei loro equilibri interni e della diffidenza nei loro rapporti reciproci. Una questione centrale riguarda in particolare una mancata disciplina legislativa dei partiti da parte del parlamento con l’adozione di un reale metodo democratico, che certo non ha agevolato né la correttezza piena delle attività né una vera trasparenza del finanziamento. Fattori questi che pesano negativamente anche nei rapporti tra vita politica e cittadini, fra limpidezza del funzionamento delle istituzioni e del rapporto tra loro, come sì è avvertito anche in non poche fasi della pandemia e in episodi scabrosi di finanziamento illecito e di corruzione.
Tutto questo incide anche nella bagarre per il Quirinale, con l’ulteriore altro limite costituito dal farne una battaglia di schieramento, di caratterizzazione partitica del candidato, della sua funzione pangenetica in vista di elezioni prossime o addirittura anticipate. Emerge questa tentazione dalla posizione di Silvio Berlusconi che, oltre ad esprimere in modo solitario la sua candidatura di salvatore della patria, ha addirittura minacciato di uscire dal Governo Draghi e di andare al voto anticipato. Viene da chiedersi come un uomo della sua esperienza, privo tra l’altro di una maggioranza di partenza, possa immaginare di concludere così un percorso tanto avventuroso. D’altra parte, anche Fratelli d’Italia e Lega si consegnerebbero in apparente gratuità a Forza Italia, data nei sondaggi abbondantemente minoritaria.
Se le cose giungessero ad una tale conclusione sarebbe una vera catastrofe. C’è però già il no del PD e dei 5 Stelle, nettamente contrari. Saranno in fondo i Grandi Elettori a decidere come risolvere questo passaggio delicato e importante che non può essere lasciato nelle mani di un solo esponente megalomane e irresponsabile.
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