Presidente Mattarella, nel salvare vite umane e finanziare la Guardia costiera libica qualcosa non torna
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Presidente Mattarella, nel salvare vite umane e finanziare la Guardia costiera libica qualcosa non torna

Sul suo umanitarismo nessuno può avere il men che minimo dubbio. Per Lei parla la sua storia personale, le sue prese di posizione in difesa dei più deboli. Ma, stavolta, c’è qualcosa che non va.

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6 Novembre 2021 - 11.42


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Caro Presidente Mattarella, stavolta non siamo d’accordo. Noi di Globalist abbiamo documentato con decine di articoli e interviste i crimini perpetrati dalla cosiddetta Guardia costiera libica. Un’associazione infarcita di delinquenti, finanziata dall’Italia. Sul suo umanitarismo, Signor Presidente, nessuno può avere il men che minimo dubbio. Per Lei parla la sua storia personale, le sue prese di posizione in difesa dei più deboli. Ma, stavolta, c’è qualcosa che non va.

E’ un passaggio dell’intervista da Lei concessa al quotidiano algerino Liberté in occasione della sua visita ufficiale oggi ad Algeri. “Purtroppo – è questo il passaggio – l’Italia è ben consapevole della tragedia che il Mediterraneo sta vivendo da qualche anno a questa parte. Il nostro Paese, con la sua cultura di accoglienza e di apertura verso il resto del mondo e verso il bacino del Mediterraneo, è sempre stato, ed è tuttora, fortemente impegnato nella salvaguardia della vita dei migranti in mare, messa in pericolo dalle reti della criminalità organizzata che sfruttano tragedie di individui e famiglie, compresi i bambini”.

Ecco Presidente Mattarella, che il nostro Paese sia “sempre stato, ed è tuttora, fortemente impegnato nella salvaguardia della vita dei migranti in mare”, è un’affermazione smentita dai fatti.

Due passi indietro nel tempo

Sedici luglio 2021. La Camera approva la risoluzione di maggioranza che autorizza le missioni militari all’estero, deliberate dal governo. In favore ha votato anche FdI. i sì’ sono stati 438, i no 3, gli astenuti 2. Tecnicamente l’aula ha approvato la relazione delle commissioni difesa ed esteri in cui il governo è impegnato a “verificare la possibilità che dalla prossima programmazione vi siano le condizioni per superare” la cooperazione con la Guardia costiera libica, trasferendola alla missione Ue.

Secondo passo: 9 luglio 2021. Viene resa pubblica una lettera aperta al premier Draghi sulle violazioni sistematiche dei diritti umani perpetrate in Libia contro migranti e rifugiati. A scriverla è l’associazione Medu, Medici per i diritti umani. “Signor Presidente del Consiglio – si legge nella lettera – è con stupore e grande preoccupazione che abbiamo appreso quanto da Lei dichiarato in occasione della sua visita a Tripoli e della soddisfazione che ha ritenuto di dover esprimere per ‘quello cha fa la Libia con i salvataggi’ e, più in generale ‘sul piano dell’immigrazione’, ‘con l’aiuto e l’assistenza dell’Italia’”. 

“A queste Sue dichiarazioni – prosegue il Medu – sentiamo il dovere di rispondere, ricordando le migliaia di testimonianze di persone sfuggite in questi anni agli atroci centri di detenzione e sequestro libici. Testimonianze raccolte dai medici, psicologi ed operatori socio-sanitari di Medici per i Diritti Umani che in vari progetti in Italia e in Niger prestano quotidianamente assistenza a migranti e rifugiati e che raccontano dei gravi crimini contro l’umanità commessi in Libia su vasta scala nei loro confronti. Atti ignobili come torture, stupri e violenze ai quali uomini, donne e bambini vengono sottoposti sistematicamente nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali, da parte di gruppi criminali, miliziani, soldati e funzionari di polizia spesso indistinguibili tra di loro. Violazioni commesse ripetutamente anche a seguito dell’intercettazione durante la tentata traversata del Mediterraneo da parte della Guardia costiera libica che riporta forzatamente i profughi inermi nei lager libici, nel corso di operazioni che hanno ben poco a che vedere con ‘salvataggi’, ma sono l’occasione di ulteriori soprusi e violenze nei loro confronti”.
 “La Libia, Signor Presidente, non è un porto sicuro ma è tutt’ora La fabbrica della tortura  che Medici per i Diritti Umani denunciava nel suo rapporto pubblicato un anno fa che raccoglie oltre tremila testimonianze dirette sopravvissute all’inferno libico dal 2014 al 2020. Con l’intento di farle giungere la voce di queste migliaia di persone da noi incontrate, desideriamo inviarle insieme a questa lettera aperta il suddetto rapporto che documenta come in oltre il 90% dei casi, i migranti e rifugiati detenuti in Libia hanno subito torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti proibiti dalle Convenzioni internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla nostra Costituzione. Teniamo a precisare che i nostri operatori continuano anche in questi giorni a raccogliere testimonianze delle atrocità commesse in Libia la cui fedele veridicità è tragicamente certificata dalle gravi sequele fisiche e psichiche impresse nel corpo e nell’anima dei sopravvissuti”.
 “Apprendiamo dalle Sue più recenti dichiarazioni di ieri in risposta ad una precisa domanda in conferenza stampa che durante la Sua visita a Tripoli ha anche auspicato nei colloqui bilaterali il superamento dei centri di detenzione per migranti. È questo un fatto certamente positivo ma del tutto insufficiente di fronte  alla gravità e alle dimensioni di una tragedia che rimarrà nella storia. Crediamo, Signor Presidente, che sia veramente il tempo di lasciar da parte un po’ di realpolitik e mettere  in campo per davvero quelle misure ‘umane, equilibrate ed efficaci’ a cui Lei stesso ha fatto riferimento”. “Auspichiamo, Signor Presidente – conclude il Medu – , che una maggiore consapevolezza del costo umano del sostegno incondizionato al Governo di Tripoli e dell’assistenza fornita alla Guarda costiera libica consentirà al suo Governo di adottare le misure indispensabili affinché l’Italia cessi di essere complice dei crimini contro l’umanità commessi in Libia”.

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Scrive Avvenire nei giorni precedenti il voto della vergogna: “Mentre in Libia i migranti continuano a essere detenuti in condizioni inumane, sfruttati e poi messi in mare su imbarcazioni strapiene e insicure. E mentre continuano a morire nel Mediterraneo e vengono inseguiti, con grave pericolo per loro, dalla cosiddetta Guardia costiera libica, che ne approfitta per allargare il raggio di mare che i libici (sostenuti dalla Turchia) intendono controllare, anche a danno dei nostri interessi nazionali, ecco che l’Italia aumenta i finanziamenti proprio alla cosiddetta Guardia costiera libica, dopo avere già fornito navi militari. 

Crescono, infatti, di mezzo milione di euro i finanziamenti destinati al blocco dei flussi migratori: passati da 10 milioni nel 2020 a 10,5 nel 2021. In totale 32,6 milioni destinati alla cosiddetta Guardia costiera libica dal 2017, salgono a 271 i milioni spesi dall’Italia per le missioni nel paese nord africano. 

Questo nonostante che anche le Nazioni Unite e le associazioni che si occupano di diritti umani abbiano ormai messo chiaramente in evidenza che in questo Paese il rispetto delle persone migranti sia inesistente e che Tripoli non può essere considerato un approdo sicuro”.

Nel giorno in cui il Parlamento italiano torna a esprimersi sulle missioni all’estero e sul rifinanziamento della Guardia costiera libica, nell’ambito del memorandum d’intesa bilaterale del 2017, Amnesty International pubblica un  rapporto che punta il dito sulle conseguenze del sostegno italiano ed europeo alle autorità di Tripoli in materia di contenimento della migrazione. In particolare Amnesty si è basata su 53 testimonianze di migranti e rifugiati detenuti in Libia già a partire dalla fine del 2020. 

Il rapporto di Amnesty

Nel rapporto in questione, AI  rivela nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici. Il rapporto mette in luce le terribili conseguenze della cooperazione in corso tra l’Europa e la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere.

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Intitolato “Nessuno verrà a cercarti: i ritorni forzati dal mare ai centri di detenzione della Libia”, il rapporto dimostra che le violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati, in corso da un decennio, sono proseguite incontrastate nel primo semestre del 2021 nonostante l’asserito impegno ad affrontarle.

Il rapporto rivela inoltre che dalla fine del 2020 la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha legittimato le violazioni dei diritti umani, integrando tra le strutture ufficiali due nuovi centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano sottoposto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati. Persone sopravvissute a uno di questi centri hanno denunciato che le guardie stupravano le donne e le obbligavano ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo o della libertà.

Questo rapporto getta nuova luce sulla sofferenza delle persone intercettate in mare e riportate in Libia per finire immediatamente in stato di detenzione arbitraria ed essere sistematicamente sottoposte a torture, violenza sessuale, lavori forzati e altre forme di sfruttamento nella totale impunità. Le autorità libiche, dal canto loro, hanno premiato i responsabili di queste violazioni dei diritti umani attraverso promozioni e l’assegnazione di posizioni di potere. Questo significa una sola cosa: che rischiamo di vedere gli stessi orrori replicarsi ancora, dichiara Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Il nostro rapporto evidenzia inoltre la perdurante complicità degli stati europei, che continuano vergognosamente a rafforzare e assistere i guardacoste libici nella cattura di persone in mare e nel ritorno forzato di queste ultime nell’inferno dei centri di detenzione della Libia, anche se nelle capitali europee si sa perfettamente a quali orrori quelle persone andranno incontro”, ha aggiunto Eltahawy.

Amnesty International chiede agli stati europei, tra cui l’Italiadi sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo dell’immigrazione e delle frontiere.  

Il rapporto contiene le storie di 53 migranti e rifugiati precedentemente trattenuti in centri ufficialmente posti sotto il controllo del Dcim, 49 dei quali detenuti direttamente dopo essere stati intercettati in mare.

Le autorità libiche hanno dichiarato di voler chiudere i centri del Dcim dove si sono verificate violazioni dei diritti umani ma le stesse violazioni si stanno verificando nei centri di detenzione nuovi o trasferiti sotto il controllo dello stesso Dcim. Sintomo di un’impunità dominante, luoghi informali di prigionia originariamente sotto il controllo di varie milizie sono stati riconosciuti e integrati nella struttura del Dcim.

Nel 2020, centinaia di persone intercettate in mare e riportate in Libia sono di fatto scomparse in un luogo informale di detenzione, all’epoca diretto da una milizia. In seguito, il sito è stato posto sotto il controllo del Dcim col nome di Centro di raccolta e di ritorno di Tripoli – meglio conosciuto col nome al-Mabani – e vi sono stati assegnati il direttore e altro personale del centro Dcim di Tajoura, tristemente noto per le torture, chiuso nell’agosto 2019 dopo un bombardamento che aveva ucciso almeno 53 detenuti.

 Violazioni dei diritti umani in corso nei centri di detenzione della Libia

Nella prima metà del 2021 ad al-Mabani sono state portate oltre 7000 persone intercettate in mare. Ex detenuti hanno descritto ad Amnesty International le torture, le condizioni detentive inumane, le estorsioni e i lavori forzati cui erano sottoposti. Alcuni hanno anche riferito di essere stati costretti a subire perquisizioni corporali invasive, umilianti e violente.

L’altro centro di detenzione precedentemente diretto da una milizia e ora integrato nel Dcim è quello di Shara’ al-Zawiya, a Tripoli, cui sono destinate persone in condizioni di vulnerabilità. Ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International che le guardie stupravano le donne e che alcune di loro venivano obbligate ad avere rapporti sessuali in cambio di forniture essenziali come l’acqua potabile o della libertà.

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Il rapporto di Amnesty International descrive violazioni dei diritti umani simili – tra cui pestaggi brutali, violenze sessuali, estorsioni, lavori forzati e condizioni detentive inumane – in sette centri di detenzione del Dcim.

Nel centro di Abu Issa, nella città di al-Zawiya, i detenuti hanno riferito di essere stati privati di sostanze nutrienti fino al punto di patire la fame. Ad al-Mabani e in altri due centri del Dcim, Amnesty International ha documentato l’uso illegale della forza e delle armi da fuoco da parte delle guardie e di altri uomini armati, che hanno ucciso e ferito detenuti.

“L’intero sistema dei centri di detenzione libici per i migranti è marcio dalle fondamenta e dev’essere smantellato. Le autorità libiche devono chiudere immediatamente tutti i centri di detenzione per rifugiati e migranti e porre fine alla loro detenzione”, ha sottolineato Eltahawy.

Le missioni “di soccorso” libiche mettono in pericolo le vite umane

Tra gennaio e giugno del 2021 le missioni “di soccorso” dei guardacoste libici sostenuti dall’Europa hanno intercettato in mare e riportato in Libia circa 15.000 persone, più che in tutto il 2020.

Le persone intervistate da Amnesty International hanno regolarmente descritto la condotta dei guardacoste libici come negligente e violenta. Sopravvissuti hanno raccontato come i guardacoste libici avevano deliberatamente danneggiato le imbarcazioni su cui viaggiavano, in alcuni casi causandone il capovolgimento e – in almeno due occasioni – l’annegamento di migranti e rifugiati. Un testimone oculare ha dichiarato che dopo che i guardacoste libici avevano fatto capovolgere un gommone, anziché soccorrere le persone in mare hanno filmato la scena.

Nei primi sei mesi del 2021 nel Mediterraneo centrale sono morti annegati oltre 700 migranti e rifugiati. E da luglio ad oggi altre centinaia di persone sono morte nel Mediterraneo.

Persone intervistate da Amnesty International hanno spesso dichiarato che, durante la traversata, avevano visto degli aerei sopra di loro o delle navi nei paraggi che rifiutavano di offrire assistenza, mentre i guardacoste libici si avvicinavano.

L’Italia e altri stati membri dell’Unione europea hanno continuato a garantire assistenza materiale, come ad esempio motovedette, ai guardacoste libici e stanno lavorando alla creazione di un centro di coordinamento marittimo nel porto di Tripoli, prevalentemente finanziato dal Fondo Fiduciario dell’Unione europea per l’Africa.

“Nonostante le massicce prove dei comportamenti sconsiderati, negligenti e illegali dei guardacoste libici in mare, e delle sistematiche violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione a seguito dell’intercettamento in mare, i partner europei continuano a sostenere i guardacoste libici che riportano a forza le persone in Libia, a soffrire di nuovo quegli stessi abusi da cui erano fuggite”, ha commentato Eltahawy.

“È ampiamente giunto il momento che gli stati europei riconoscano che le conseguenze delle loro azioni sono indifendibili. Devono sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo dell’immigrazione e delle frontiere e aprire urgentemente quei percorsi sicuri così necessari per la salvezza di migliaia di persone bisognose di protezione, attualmente intrappolate in Libia”, conclude la responsabile di Amnesty International. 

Presidente Mattarella, non si salvano vite umane finanziando gli aguzzini in divisa, a cui l’Italia ha appaltato il lavoro sporco: quello dei respingimenti in mare. Quei morti in mare, come i disperati detenuti nei lager libici, raccontano un’altra storia. Una storia che non fa onore all’Italia. 

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