Un suggerimento ad personam. E la persona in questione è il senatore Matteo Renzi. Dopo aver magnificato il “Rinascimento saudita”, il capo di Italia Viva ha calzato l’elmetto schierando le sue, invero esigue, truppe parlamentari a sostegno della “Resistenza israeliana”.
Ora, che uno degli eserciti più agguerriti e meglio armai al mondo abbia bisogno del caporale Renzi per radere al suolo Gaza, come ambirebbero i falchi di Tel Aviv, già questo sarebbe comico se non fossimo dentro una tragedia che sta costando la vita di centinaia di persone, tra cui almeno diecibambini palestinesi.
Ma di questo il “caporale” Renzi non se ne cura. Lui ha scelto da che parte stare. A prescindere.
E dopo essersi infatuato del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che secondo la Cia, non l’Isis, è stato il mandante del barbaro assassinio del giornalista e dissidente saudita, Khashoggi, eccolo ora abbracciare, metaforicamente per il momento, un altro suo idolo mediorientale: il primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu.
Non chiediamo certo al senatore di Rignano di ascoltare anche la parte palestinese, sarebbe troppo per lui, ma, e qui viene il consiglio, di leggere ciò che ha scritto su “Bibi” una delle firme più autorevoli del giornalismo israeliano: Zvi Bar’el.
E visto che in inglese zoppica un po’, Globalist gli fa un regalo, in italiano.
Un “mito” senza fondamento.
Da qualche anno – annota Bar’el su Haaretz – circola un mito senza fondamento, secondo il quale Benjamin Netanyahu non è un guerrafondaio. [Egli] è uno dei primi ministri più pacifisti che abbiamo mai avuto, con un bilancio di una sola guerra iniziata nei suoi dodici anni di potere.
Questo è stato scritto di lui su queste pagine nel novembre 2018, pochi mesi dopo che
centinaia di gazesi sono stati uccisi e feriti dai cecchini militari israeliani alla barriera di confine della Striscia di Gaza.
Un vero uomo di pace. Secondo il mito, con l’eccezione di una guerra terribile l’operazione Protective Edge, che si è conclusa con l’ orribile uccisione di migliaia di civili e la distruzione della Striscia di Gaza – Netanyahu ha evitato le guerre, le sue risposte
sono misurate e il suo piede è sempre sul freno. Un guidatore prudente, mantiene una distanza di sicurezza, segnala sempre prima di una svolta, rimane nella sua corsia, non impreca e non taglia la strada agli altri veicoli.
Questo mito è sempre accompagnato da avvertimenti e minacce.
Se Netanyahu se ne va, ci sarà la guerra. Se si forma un governo senza di lui – un governo di cambiamento che non è cambiamento, non è di sinistra e non è di centro, ma piuttosto di estrema destra – non avrà nessuno che possa applicare i freni.
Sarà un governo che sostiene l’apartheid, un governo che vorrà dimostrare che non è di sinistra, avvertono.
In altre parole, nel migliore dei casi non sarà meno di destra di un governo Netanyahu. Nel caso peggiore, il più probabile, sarà un governo di guerra.
Di fronte a questo pericolo, così va il mito, tutti i difetti di Netanyahu, la sua criminalità, la sua corruzione, il suo razzismo e le sue bugie sono una goccia nel mare. Come i contabili che lavorano per raddrizzare i libri prima di una verifica fiscale, gli ammiratori di Netanyahu raccolgono i suoi contributi al popolo israeliano – le vaccinazioni, la legittimazione degli arabi come partner politici e gli accordi di pace con alcuni stati arabi – per compensare gli enormi danni che ha fatto.
Il problema è che i conti non tornano per qualche motivo. La guerra fallita a Gaza
nel 2014 non può essere nascosta sotto il tappeto della storia e considerata come un fallimento una tantum.
Questo trucco è senza fondamento: Netanyahu sta conducendo una guerra implacabile e violenta contro la popolazione di cui sentiamo parlare con grande sofferenza proprio dai suoi nuovi ammiratori.
La guerra contro i manifestanti delle cosiddette marce del ritorno alla barriera di confine di Gaza, che sono stati uccisi a centinaia; le incursioni notturne nelle case dei civili; il sostegno e l’incoraggiamento dei coloni che derubano i palestinesi delle loro terre; le minacce di annessione; la selvaggia presa del Monte del Tempio e ora la risposta energica ai razzi lanciati in Israele dalla Striscia di Gaza dopo il lancio di razzi – per i suoi nuovi ammiratori tutte queste cose, così sembrerebbe, non sono guerra.
Durante il periodo di Netanyahu al potere, le Forze di Difesa Israeliane hanno inventato il termine “la battaglia tra le guerre” – come se si trattasse di una lunga pausa caffè iniziata con la partenza di un precedente e combattivo governo e che finirà, per carità, quando Netanyahu non sarà più primo ministro.
Ma questa battaglia intermedia è una guerra in tutti i sensi. Comporta l’uccisione di civili; attacchi in Siria e Iran che rasentano lo scontro; scontri con Washington; una minacciosa spaccatura con la Giordania; un denso e tossico incitamento razzista contro i
cittadini arabi di Israele; il crudele soffocamento di circa 2 milioni di gazawi e il lancio di razzi su Israele.
E meraviglia delle meraviglie, tutto questo, dicono questi profeti di strada, può essere risolto – è banale, non certo la guerra.
Basta dare al mito un altro mandato, e vedere come si ritira dai territori, cambia ufficialmente il suo nome in Abu Yair, apre la sua casa non solo al presidente della Lista Araba Unita Mansour Abbas ma anche al presidente palestinese Mahmoud Abbas, costruisce un porto e un aeroporto a Gaza e chiede di entrare nell’accordo nucleare con l’Iran.
E non ha sempre il piede sul freno? Neanche un venditore di auto usate userebbe una tecnica del genere.
Netanyahu non è un male minore che dovrebbe rimanere al potere per impedire un governo di estrema destra – è l’archetipo di un governo di estrema destra. Non impedirà la guerra, perché la guerra sta già avvenendo. Netanyahu deve andarsene
immediatamente perché è lui il responsabile della bancarotta
morale, costituzionale e politica di Israele.
E questo non è un mito”, conclude Bar’el..
Ha capito, “caporale” Renzi?
Quell’accusa infamante. I premi Nobel per la pace Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo.
Personalità e organizzazioni che hanno denunciato i crimini commessi a Gaza, e per questo sono stati considerati “antisemiti”.
La memoria torna a quell’estate di sangue del 2014. Ci sono anche sette premi Nobel per la Pace tra i 64 firmatari di una lettera aperta nella quale si chiede che venga applicato, nei confronti di Israele, un embargo internazionale per quanto riguarda la vendita delle armi.
La lettera-appella è del 21 luglio 2014. La missiva, sul Guardian, chiede che il provvedimento venga preso per i crimini di guerra e i possibili crimini contro
l’umanità a Gaza. Israele – si legge nella lettera – ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese, in particolare quella della Striscia di Gaza, in un atto disumano e in una illegale aggressione militare.
La capacità di Israele di lanciare questi attacchi impunemente
deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare
internazionale che intrattiene con la complicità dei governi di
tutto il mondo.
Chiediamo alle Nazioni Unite di attuare immediate misure di embargo militare nei confronti di Israele simili a quelle inflitte al Sudafrica durante l’apartheid.
Tra i firmatari dell’appello ci sono anche sette premi Nobel per la Pace: si tratta in particolare di Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Peres Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberto Menchu.
Ma non solo: il documento è stato sottoscritto anche da importanti accademici come Noam Chomsky e Rashid Khalidi, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dai musicisti Roger Waters e Brian Eno, dagli scrittori Alice Walker e Caryl Churchill e dai giornalisti John
Pilger e Chris Hedges.
Tra i firmatari, inoltre, ci sono anche due accademici israeliani: Ilan Pappe e Nurit Peled.
Sette anni dopo la storia si ripete. E il sangue ricomincia a scorrere.