Khashoggi, Salman e Renzi d'Arabia: uno scandalo legalizzato
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Khashoggi, Salman e Renzi d'Arabia: uno scandalo legalizzato

La stampa mainstream ha “silenziato” il caso dell'elogio al principe ereditario mandante dell'omicidio del giornalista dissidente. Ed è proprio sull’oblio che il senatore di Rignano ha puntato. 

Matteo Renzi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Marzo 2021 - 16.26


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Come volevasi dimostrare. La stampa mainstream ha “silenziato” lo scandalo del Renzi d’Arabia. Ed è proprio sull’oblio che il senatore di Rignano ha puntato. 

Scandalo “legale”. 

Ma noi di Globalist abbiamo la testa dura, e continuiamo a insistere.I parlamentari italiani possono continuare a svolgere attività lavorative estranee al lavoro parlamentare, quasi come se il lavoro parlamentare fosse considerato una sorta di ‘part time'”. Inizia così la spiegazione dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, diretto da Carlo Cottarelli, sul come sia stato possibile che il leader di Italia viva nonché senatore della Repubblica italiana, , abbia potuto partecipare recentemente a un incontro a Riyadh con il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin-Salman organizzato dal Future Investement Initiative, nel cui board siete Renzi. Per l’Osservatorio sui conti pubblici italiani “lo scandalo è stato reso legalmente possibile” perché  “in Italia, come in altri Paesi europei, il lavoro parlamentare non è considerato a tempo pieno”. Beneficiando così di redditi di attività lavorative esterne.

Resta lo scandalo politico. 

Il j’accuse di Hatice

“Non è possibile essere ben informati sull’Arabia Saudita e allo stesso tempo sostenere che il principe ereditario Mohammad bin Salman sia un riformatore”. Hatice Cengiz, la compagna di Jamal Khashoggi, il giornalista dissidente ucciso il 2 ottobre 2018 all’interno del Consolato saudita di Istanbul, continua a chiedere giustizia dopo la diffusione del report della Cia secondo cui il principe ereditario è il mandante dell’omicidio dell’uomo che si apprestava a sposare, ed è tornata ad attaccare Renzi che, che nei giorni scorsi, ha tentato di difendere la sua scelta di recarsi alla Davos del deserto come membro della fondazione Future Investment Initiative voluta proprio da MbS pagato fino a 80mila euro all’anno, pubblicando sul suo profilo Twitter un’auto-intervista che , secondo lui, dovrebbe chiarire tutti i punti relativi alla sua partecipazione con tanto di elogi della monarchia, fino a ipotizzare un nuovo Rinascimento” nel Paese del Golfo. “Proprio non capisco perché lo abbia fatto – ha dichiarato Cengiz in un’intervista all’Ansa – Forse deve cercare di capire meglio la realtà della situazione in Arabia Saudita e cosa bin Salman ha fatto a Jamal”.

A chi le chiede se il report dei servizi americani riconsegni un minimo di giustizia a lei e al suo compagno, Cengiz risponde: “Penso che non sia stata fatta giustizia in alcun modo per l’uccisione di Jamal. Ora sappiamo che Mohammed bin Salman può ordinare l’omicidio di una persona innocente e, anche dopo che tutti hanno saputo ciò che ha fatto, non c’entra alcuna punizione. Io penso che debbano esserci sanzioni contro il principe. Servono azioni e non solo parole”.

Qualcosa si muove a Roma

Finito nel mirino, lo stesso Renzi garantisce che avrebbe affrontato il tema una volta chiusa la crisi di governo. Poi, i primi giorni di febbraio, in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit, afferma: “Naturalmente ci devono essere progressi per i diritti umani in Arabia Saudita, ma è un errore dipingere il Paese come il regno del Male”, anche se “deve essere fatta chiarezza sul caso Khashoggi. Non ci deve essere nemmeno l’ombra del dubbio”.

Il rapporto della Cia ha fatto riesplodere la polemica. L’ex ministro ed esponente dem Peppe Provenzano ricorda sui social: “Matteo Renzi aveva detto che dopo la crisi avrebbe chiarito i suoi rapporti con l’Arabia Saudita e il ‘grande principe ereditario’. Lui non ha ancora detto nulla, ma ci ha pensato Joe Biden. Chiarire ora non è solo questione di opportunità, ma di interesse nazionale”. Gli fa eco Gianni Cuperlo: “Il senatore Renzi aveva annunciato che, una volta archiviata la crisi di governo, avrebbe offerto le motivazioni di quella sua iniziativa. È opportuno che lo faccia. Se possibile presto”. Sempre dal Pd, è il vice capogruppo alla Camera, Michele Bordo, a incalzare: Renzi spieghi i suoi rapporti con Mohammed bin Salman. Ci dica anche se è ancora convinto che in Arabia Saudita sia in atto un nuovo rinascimento. Renzi ha il dovere di chiarire: non è un semplice cittadino ma un senatore della Repubblica”. Stessa richiesta di chiarezza era arrivata da Sinistra italiana che ora, con Nicola Fratoianni, osserva: “Piano piano la pressione sta crescendo: è un bene per l’Italia. Insistiamo ancora: Renzi dovrà trarne le conseguenze”.

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Non è da meno il Movimento 5Stelle: “Matteo Renzi in quanto senatore della Repubblica non può più perdere altro tempo e deve chiarire la natura dei suoi rapporti col principe saudita Mohammed bin Salman e quello con la fondazione Future investment iniziative”, dichiara la vicepresidente della Camera, Maria Edera Spadoni. “Renzi deve dare spiegazioni al Parlamento e al Paese. La questione presenta aspetti istituzionali delicati, non può snobbare le numerose richieste di chiarimenti che giungono da più parti”, afferma Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera, M5S. “Come può  il senatore Renzi non fornire una risposta a chi gli chiede di prendere le distanze dal regime saudita dimettendosi dalla fondazione?”, incalza il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. 

Il segretario nazionale di Sinistra Italiana e deputato di LeU, Nicola Fratoianni, ha deciso di presentare al presidente del Consiglio un’interrogazione parlamentare sui rapporti tra il senatore fiorentino e Riyadh “A parere dell’interrogante la circostanza che chi riveste un ruolo politico e istituzionale di grande rilievo nel nostro Paese, possa contemporaneamente ricevere compensi da uno Stato straniero, desta grande preoccupazione. A parere dell’interrogante anche i leader politici, insieme ai social e ai media tradizionali, possono, più o meno intenzionalmente, prestare il fianco a interferenze straniere, contribuendo a diffondere ‘disinformazione’ la quale può essere promossa da attori esterni come business e per trarre profitto”, si legge nel testo presentato.

Per Fratoianni ci sarebbe un vulnus normativo nelle istituzioni italiane che in passato ha già ricevuto le critiche degli organismi internazionali. Ciò che si sottolinea è che Renzi sarebbe rientrato in Italia a bordo di un volo privato pagato dal Future Investment Initiative Institute, cioè la fondazione saudita controllata direttamente dalla famiglia reale che ha organizzato la conferenza a cui Renzi ha partecipato lo scorso gennaio. Il leader di Italia Viva, inoltre, non solo “avrebbe usufruito per il volo Riyad-Roma di un jet Gulfstream G450 di una compagnia privata con sede a Riyad, un servizio del valore di circa 28.600 dollari”, ma farebbe parte dello stesso advisory board del think tank, garantendosi così un compenso fino a 80mila dollari l’anno più alcuni benefit.

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“Appare inopportuno che un ex Presidente del Consiglio, senatore in carica e leader di un partito, viaggi su un jet privato offerto dal fondo sovrano di un altro Paese e percepisca un compenso da una fondazione di uno Stato estero che promuove gli interessi internazionali di quello stesso Stato. Così come non appare irrilevante che un membro della Commissione Difesa del Senato italiano riceva pagamenti da uno Stato straniero. Nello specifico si tratta peraltro di un Paese governato da un principe ereditario di una monarchia illiberale e feudale nonché uno dei maggiori acquirenti di armamenti del mondo, il 12% di tutte le armi vendute in larga parte utilizzate in Yemen”, prosegue ancora l’interrogazione. Che sottolinea anche come in tutte le democrazie occidentali il tema dell’interferenza straniera sia oggetto di dibattito: anche in Italia devono essere introdotte delle regole che disciplinino l’attività extra parlamentare di deputati e senatori”.

Esemplare a tal proposito è l’articolo a firma, pubblicato da Questione Giustizia, il periodico di Magistratura democratica, di cui Rossi è direttore. Già il titolo la dice tutta:  Legittimare un despota? E per un piatto di lenticchie? 

Se l’Italia vuole conservare un accettabile grado di credibilità nel contesto internazionale, deve stringere un cordone sanitario intorno a sortite come quella ‘araba’ di Matteo Renzi, ricordandogli che essere stato presidente del Consiglio comporta oneri anche quando si è cessati dalla carica e che essere parlamentari di una Repubblica democratica non è compatibile – eticamente e politicamente –  con l’adulazione dei despoti.  Ne va della capacità del nostro Paese – ed è per questo che una Rivista di magistrati ritiene di dover intervenire – di svolgere il ruolo cui ambisce, e nel quale ha profuso tante energie e risorse, di protagonista nella tutela dei diritti umani fondamentali nel mondo”, scrive Rossi. Per poi proseguire: “Risale solo a qualche settimana fa lo spettacolo di un ex Presidente del Consiglio, senatore in carica e leader di una forza politica presente in Parlamento e nel Governo, che si reca alla corte del principe ereditario Muhammad bin Salman per rendergli omaggio ed intrattenersi amabilmente con lui sul Rinascimento arabo ed altre amenità, tra cui l’invidiato costo del lavoro in Arabia Saudita (dovuto, per inciso, all’enorme numero di immigrati che vi lavorano).  Stropicciamoci gli occhi per assicurarci di essere ben svegli, di non avere le traveggole, di non vedere doppio. Dinanzi a noi ci sono due Muhammad bin Salman. 

Il primo, additato, ieri come oggi, come il mandante dell’efferato omicidio di un giornalista dissidente, come l’utilizzatore della violenza come metodo di governo, come un autocrate detentore di un potere incontrollato e incontrollabile. 

Il secondo, elogiato, riverito, vezzeggiato, adulato. 

Da molti dei suoi sudditi, con l’attenuante della paura per la propria esistenza e per quella delle loro famiglie. 

Da un rappresentante del popolo italiano, con il corredo del cinismo politico e del tornaconto economico, e senza neppure la possibilità di invocare la foglia di fico della ragion di Stato o della necessità di mantenere in vita accettabili relazioni diplomatiche. 

Eppure la prima reazione – un vivo rossore di vergogna, di sdegno, di ripulsa – che l’accaduto suscita nei cittadini che hanno ancora a cuore l’Italia e la sua ‘civiltà’ deve cedere il posto ad una più attenta valutazione istituzionale e a domande sin qui neppure poste o comunque rimaste senza alcuna risposta. 

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La visita di Matteo Renzi – al di là degli aspetti e dei toni che hanno suscitato tra molti spettatori un riso assai amaro – aveva uno scopo preciso: legittimare un governante screditato sulla scena internazionale, rinsaldando il suo potere all’interno del Paese e mostrandolo ai suoi sudditi come interlocutore privilegiato di chi ha ricoperto altissimi incarichi istituzionali in un grande Paese democratico. 

Che queste finalità, come è più che probabile, non siano state raggiunte non attenua la gravità dell’atto compiuto e non mitiga la responsabilità politica dell’inqualificabile iniziativa.  

Si è assistito ad una svendita a prezzi di saldo non dell’immagine di Matteo Renzi ma di quella del nostro Paese, messo in evidente imbarazzo dalla sconcertante performance televisiva di un suo esponente politico di primo piano. 

Se l’Italia vuole conservare un accettabile grado di credibilità nel contesto internazionale, deve stringere un cordone sanitario intorno a sortite come quella ‘araba’ di Matteo Renzi, ricordandogli che essere stato presidente del Consiglio comporta oneri anche quando si è cessati dalla carica e che essere parlamentari di una Repubblica democratica non è compatibile – eticamente e politicamente –  con l’adulazione dei despoti. 

Ne va della capacità del nostro Paese – ed è per questo che una Rivista di magistrati ritiene di dover intervenire – di svolgere il ruolo cui ambisce, e nel quale ha profuso tante energie e risorse, di protagonista nella tutela dei diritti umani fondamentali. 

Non vendere la primogenitura per un piatto di lenticchie è il minimo che si deve a quanti per la Repubblica democratica hanno lavorato, lottato, sofferto e persino dato la vita ed a coloro che sono impegnati, in ogni parte del mondo, nella salvaguardia del diritto e dei diritti, di contro alla violenza e alla sopraffazione”.

Argomenti e toni che chi scrive sposa in toto, anche nelle virgole. 

La risposta di Italia viva? “ “Renzi sull’Arabia ha già detto tutto sulla stampa nazionale e internazionale: invito tutti a rileggere le numerose interviste rilasciate a quotidiani esteri e nazionali che certo non sono state fatte a tavolino come fa Casalino”. Così il presidente dei senatori di Iv, Davide Faraone, a Tagadà.”Sull’omicidio Khashoggi ha usato parole di grande chiarezza chiedendo di fare luce. Per quanto riguarda il ‘rinascimento saudita’ mi pare che ne abbiano parlato anche altri : lo stesso ministro Di Maio che rappresenta il nostro Paese ai massimi livelli ha illustrato le grandi opportunità per le aziende italiane in quel territorio, basta visitare il sito web della Farnesina. “. E poi l’affondo finale: “Rimango invece basito del fatto che se Renzi partecipa ad una conferenza internazionale, come accade a moltissimi altri leader, una corrente della magistratura dica addirittura che va creato ‘un cordone sanitario intorno a lui’: nessuno ha nulla da dire su questo?”.

Nel nostro piccolo, dobbiamo una risposta a Faraone. Sì, senatore, abbiamo qualcosa da dire. Siamo perfettamente d’accordo con quanto scritto da Rossi. 

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