Bettini (Pd): "Solo gratitudine per Conte, il 'premier decapitato' che ha fermato le destre"
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Bettini (Pd): "Solo gratitudine per Conte, il 'premier decapitato' che ha fermato le destre"

Il dirigente Pd: "Conte ha guidato un governo politico, onesto e serio (anche se con differenti qualità nella sua composizione) che ha lavorato bene"

Goffredo Bettini
Goffredo Bettini
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3 Febbraio 2021 - 15.41


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Il dirigente del Pd Goffredo Bettini, nelle ore in cui Mario Draghi ha accettato con riserva l’incarico di formare un Governo, scrive su Tpi che “il primo sentimento che in queste ore si impone nel mio animo è di gratitudine per Giuseppe Conte. Egli ha guidato un governo politico, onesto e serio (anche se con differenti qualità nella sua composizione) che ha lavorato bene, in mezzo a difficoltà non paragonabili rispetto a qualsiasi fase passata della storia repubblicana. So bene che ci sono stati ritardi, mancanze, anche errori. Eppure un messaggio positivo è arrivato agli Italiani. Lo si vede nella popolarità che ancora conserva il Premier decapitato”.
“Forse i cittadini hanno compreso meglio di tanti commentatori che per le forze democratiche e di sinistra si era aperta una prospettiva nuova. Difficile. Ma praticabile. Quando Nicola Zingaretti ha preso in mano il Pd – prosegue – il partito era isolato, al 15% nei sondaggi, circondato da una marea populista di destra e anche di sinistra, inerme di fronte a un governo comandato da Salvini. In questi mesi il populismo italiano si è spaccato. Quello più mite e anche innovativo si è aperto a una collaborazione istituzionale e di governo. Non è più quello di prima, arrabbiato e antipolitico. Questo ha permesso di costruire una alleanza, di cui Conte è stato il punto di riferimento, tra la sinistra democratica nel suo insieme e il Movimento 5stelle, rimettendo l’Italia sui binari giusti; saldamente europeisti e antisovranisti”.
“Forse i cittadini hanno compreso meglio di tanti commentatori che per le forze democratiche e di sinistra si era aperta una prospettiva nuova. Difficile. Ma praticabile. Quando Nicola Zingaretti ha preso in mano il Pd – prosegue – il partito era isolato, al 15% nei sondaggi, circondato da una marea populista di destra e anche di sinistra, inerme di fronte a un governo comandato da Salvini. In questi mesi il populismo italiano si è spaccato. Quello più mite e anche innovativo si è aperto a una collaborazione istituzionale e di governo. Non è più quello di prima, arrabbiato e antipolitico. Questo ha permesso di costruire una alleanza, di cui Conte è stato il punto di riferimento, tra la sinistra democratica nel suo insieme e il Movimento 5stelle, rimettendo l’Italia sui binari giusti; saldamente europeisti e antisovranisti”.
“Inoltre, in un Paese per molteplici aspetti diviso come il nostro – prosegue Bettini – la linea economica e sociale realizzata nel periodo più duro della pandemia ha difeso i lavoratori, i ceti produttivi sani, non quelli moltiplicatori di rendite, e le fasce più deboli. Insomma ha cercato di mettere i conflitti, reali e potenziali, in forma politica”.
“Infine, l’esperienza del Conte II ha dimostrato di saper navigare nel mare in tempesta con quella dose di autonomia e di libertà rispetto ai poteri tradizionali del capitalismo italiano, guardando più a conservare un dialogo semplice e attento con il popolo, apparso a tratti persino ingenuo, piuttosto che alle prime pagine dei giornali che, tranne in qualche caso, sono sempre più diretta espressione dei poteri industriali e finanziari che hanno contribuito così tanto al discredito (in alcuni casi certamente meritato) dei partiti e del regime democratico”.
“Bene, questa esperienza di governo e la prospettiva politica che la guidava è stata incomprensibilmente interrotta e fatta stramazzare a terra. Ma, come tante volte ha esortato Franceschini – rimarca l’esponente dem – non si può buttare a mare il solo schema politico che può battere la destra. Non torno sulla dinamica della crisi. Quando Renzi dice che è il merito delle questioni ad aver portato alla rottura, non dice la verità. E non tanto perché contemporaneamente ad una sfilacciata discussione sul programma era in corso una ben più solida contesa sugli assetti. Piuttosto perché egli fin dall’inizio coltivava due prospettive”.
“Una – illustra Bettini – di recuperare a proprio vantaggio la formula politica e l’esecutivo che aveva sfasciato; l’altra di destrutturare il Pd, la sua alleanza con il M5s, i confini tra destra e sinistra, sperando così di rimettersi in gioco dopo la cocente sconfitta del suo partito in questi mesi; che non è diventato simile a quello di Macron bensì una pattuglia residuale del 2% che, solo per una transizione spropositata di parlamentari dal Pd, ambisce a svolgere la stessa funzione che fu di Craxi. Non avendo la forza politica del leader socialista, la storia dei Socialisti italiani nella costruzione della Repubblica, l’autonomia internazionale che il segretario del Psi dimostrò con coraggio e decisione di possedere”.
Dopo essersi soffermato sulla situazione incerta che si profila e sulla necessità di preservare Mario Draghi, Bettini si sofferma sulla situazione interna ai dem. “Mi sono speso tantissimo, anche personalmente, per salvare il patrimonio che il Pd ha accumulato nella nuova stagione, diretta da Zingaretti. Qualcuno ha trovato esagerato e persino illegittimo questo mio impegno sincero, disinteressato e prevalentemente intellettuale”.
“Mi scuso se mi trovo costretto a parlare di me, che è davvero poca cosa. Ma mi tocca spiegare perché più volte sono stato chiamato in causa ingiustamente”. “È ovvio – riconosce – che molti non hanno condiviso le mie posizioni. Rispetto le critiche. Sempre. Tranne quelle accompagnate dalla intimazione a stare zitto. Ribadisco: il Conte ter era a portata di mano. Il governo precedente non è stato mai sfiduciato, ha dimostrato di avere una fiducia assoluta alla Camera e un ampissimo consenso al Senato. Era la sola naturale base di partenza per aprire una fase nuova di stabilità, di condivisione delle priorità fino alla fine della legislatura, di riassetto della squadra per renderla più forte”.
“Ecco perché, se qualcuno voleva mettere in crisi tale possibilità, era evidente prevedere uno sbocco elettorale nei tempi consentiti dall’andamento della pandemia. Anche perché le elezioni non sono praticabili oggi. Ma a giugno si vota nelle principali città italiane e, prima di giugno, anche in Calabria. E poi, quando le cose si fanno difficili, complicate e confuse; quando, cioè, c’è uno stato di emergenza o di eccezione, è proprio il momento in cui la parola va data alla politica e alla democrazia. E non il contrario”.
“Altrimenti per senso di responsabilità, rischiamo di essere irresponsabili: nel significato letterale del termine, di rinuncia alle nostre proprie responsabilità, ampliando le zone di apatia, sfiducia, disprezzo o paura nei meccanismi fondamentali di ogni regime democratico. Tra cui quello basico, insostituibile, e alla fine decisivo: l’espressione del voto popolare, sulla base di convincimenti politici e di scelte chiare del popolo. Quando sono esaurite le condizioni di una ricomposizione nel Parlamento, tornare dai cittadini diventa una necessità, seppure in alcuni momenti difficile, incerta e anche dolorosa. Si vince o si perde. Ma si combatte e si rafforzano le radici della propria rappresentanza. E non si può continuare a dire che c’è il pericolo che vinca la destra. Valeva un anno e mezzo fa. Ma oggi si contrappongono due campi chiari e il tappo non può rimanere eternamente chiuso, altrimenti la bottiglia scoppia”.

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