Stragi nel Mediterraneo: non una parola da Conte, il ricercatore di "costruttori"
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Stragi nel Mediterraneo: non una parola da Conte, il ricercatore di "costruttori"

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’Agenzia Onu per i Rifugiati sono “profondamente addolorate per il tragico naufragio avvenuto ieri (19 gennaio) al largo delle coste libiche.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Gennaio 2021 - 16.45


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Non una parola per quei disperati che continuano a morire nel Mediterraneo. Non un cenno ai lager libici e ai finanziamenti che continuiamo a elargire a quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Di tutto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha parlato nella sua due giorni parlamentare. Di tutto, ma non di diritti umani. Quei diritti che continuano a essere negati a quell’umanità sofferente che fugge da guerre, pulizie etniche, stupri di massa, povertà assoluta, disastri ambientali. 

Il silenzio e le stragi

Un silenzio assordante. Un silenzio complice. Perché nel Mediterraneo si continua a morire. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, in una nota congiunta, affermano di essere “profondamente addolorate per il tragico naufragio avvenuto ieri (19 gennaio) al largo delle coste libiche. Si tratta del primo naufragio registrato lungo la rotta del Mediterraneo centrale nel 2021 e si stima che le vittime di questa tragedia siano almeno 43. Secondo lo staff dell’Oim e dell’International Rescue Cmmittee (Irc), partner di Unhcr, 10 sopravvissuti sono stati portati a Zwara dalla “Libyan Coastal Security”.
L’imbarcazione, salpata nelle prime ore di martedì dalla città di Zawiya, ha avuto un problema al motore poche ore dopo la partenza e si è rovesciata a causa del maltempo. I sopravvissuti, principalmente cittadini di Costa d’Avorio, Nigeria, Ghana e Gambia, hanno riferito che i compagni di viaggio annegati o dispersi erano tutti uomini provenienti da Paesi dell’Africa occidentale.
Nel corso della loro permanenza nel porto di Zwara, i sopravvissuti al naufragio hanno ricevuto assistenza da parte del personale dell’Oim e dell’International Rescue Committee (Irc) – partner dell’Unhcr – che hanno fornito loro cibo, acqua e cure mediche.
Lo scorso anno sono state centinaia le persone che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale, che resta la rotta migratoria più pericolosa del mondo. L’Oim e l’Unhcr temono che, a causa della limitata capacità di monitorare queste rotte, il numero reale di persone morte nel Mediterraneo centrale nel 2020 potrebbe essere più alto di quanto si pensi.
“Questa ulteriore tragedia   – prosegue il comunicato – evidenzia ancora una volta come sia necessario che gli Stati riattivino operazioni di ricerca e salvataggio, una lacuna che le Ong e le navi commerciali stanno cercando di colmare nonostante le loro limitate risorse. L’Oim e l’Unhcr ribadiscono il loro appello alla comunità internazionale affinché la situazione nel Mediterraneo venga urgentemente affrontata con un approccio diverso. Ciò vuol dire che è necessario smettere di riportare le persone in porti non sicuri e istituire un meccanismo di sbarco sicuro che possa essere seguito da una dimostrazione tangibile di solidarietà da parte degli Stati europei con i paesi che registrano un numero elevato di arrivi.
La situazione dei migranti e dei rifugiati in Libia rimane estremamente precaria. Continuano gli arresti arbitrari e le detenzioni arbitrarie in condizioni drammatiche. Molti rifugiati e migranti sono sfruttati da trafficanti, tenuti in ostaggio e diventano vittime di abusi e torture.
L’Oim e l’Unhcr riconoscono gli sforzi compiuti dalle autorità libiche nella lotta al traffico di esseri umani e chiedono maggiori sforzi nel perseguire penalmente e incriminare i gruppi criminali responsabili degli abusi dei diritti umani di cui sono vittime migliaia di migranti e rifugiati nel Paese.
Le agenzie temono che, qualora l’inazione e l’impunità dovessero prevalere, un numero ancora più elevato di persone potrebbe perdere tragicamente la vita”.

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Un anno dopo

“Tortura, detenzione, sfruttamento e violenze sessuali rappresentano l’orrore quotidiano per tanti rifugiati e migranti in Libia. Invece che mettere fine a questi abusi, l’Europa sta aiutando la Libia a proseguire nelle violazioni. 

Fornendo alla Guardia costiera libica formazione e imbarcazioni per trasportare i migranti indietro nel paese, i leader europei contribuiscono a sofferenze inenarrabili.

Rifiutando le persone traumatizzate ed esauste di attraccare nei loro porti, l’Europa mette a rischio la vita delle persone.

Le soluzioni esistono e cambiare questo sistema non è impossibile.

Amnesty International ha chiesto ai leader europei la formulazione di un serio piano riguardante gli sbarchi, la riforma del sistema di Dublino e percorsi sicuri e legali che forniscano alternative alle persone che s’imbarcano in viaggi pericolosi.

Unhcr stima siano 4.500 le persone trattenute nei centri di detenzione: è necessario porre fine alla detenzione arbitraria e indagare sulle accuse di tortura e maltrattamenti, reimpostando la cooperazione con il paese in materia di migrazione e dando priorità alla protezione dei diritti umani.

Firma ora per chiedere ai leader libici ed europei di collaborare per porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti in Libia”.

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Questa era la petizione lanciata da Amnesty International un anno fa, il 30 gennaio 2020. Una petizione sottoscritta da decine di migliaia di persone, fatta propria da quel mondo solidale – Ong, gruppi per i diritti umani, associazionismo etc. – che continua ogni giorno, tra mille difficoltà, moltiplicate dalla crisi pandemica, a provare a salvare vite umane. 

Un anno dopo, il Governo alla ricerca di “costruttori” non ha fatto nulla per “costruire” solidarietà. Non una parola è uscita dalla bocca del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, pur prodigo nell’esternare il suo indefesso sostegno al prode Conte. Così come non una parola è stata spesa per condannare l’atteggiamento provocatorio delle autorità egiziane, a cominciare dal presidente-carceriere Abdel Fattah al-Sisi, nel delitto-Regeni, un delitto di Stato. Non contiamo nulla nel Mediterraneo, siamo sotto ricatto permanente da parte degli Erdogan, degli al-Sisi, degli Haftar. Non una parola. La diciamo noi di Globalist: vergognatevi. 

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