Ricongiunzione onerosa: una truffa ai danni dei lavoratori
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Ricongiunzione onerosa: una truffa ai danni dei lavoratori

Secondo la legge se uno ha versato i contributi in gestioni diverse deve ricongiungerli. Non cumularli ma ricongiungerli in modo oneroso. [Claudio Visani]

Ricongiunzione onerosa: una truffa ai danni dei lavoratori
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22 Aprile 2016 - 18.23


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di Claudio Visani

Sulla “riforma delle riforme” (Sacconi-Fornero) delle pensioni, in particolare per la flessibilità in uscita e le ricongiunzioni onerose, il governo sperimenta la “supercazzola”: quell’insieme di parole per non dire nulla che il conte Mascetti, alias Ugo Tognazzi, recitava magistralmente in “Amici miei” quando non voleva pagare il conto. E in questo caso tutto lascia pensare che il conto alla fine lo pagheranno solo gli aspiranti pensionati.

Ricapitoliamo. Nel 2015, con 600mila over 55 disoccupati troppo vecchi per trovare lavoro e troppo giovani per la pensione che lo chiamano in causa, il ministro del lavoro, Poletti, annuncia la controriforma del governo per consentire l’uscita con 3 o 4 anni di anticipo rispetto ai 66 anni e 7 mesi fissati dalla Fornero. Ma pochi mesi dopo la proposta del presidente Inps, Boeri (pensionamento anticipato a 63 anni e 7 mesi con minimo 20 anni di contributi da lavoro, penalizzazione annua del 3%, contestuale abolizione dei vitalizi e taglio delle pensioni d’oro), che sembrava dovesse essere fatta propria dal governo, viene invece lasciata cadere da Renzi. Il premier preferisce dirottare le poche risorse disponibili della Legge di Stabilità sui bonus per i 18enni, la cultura e la casa, sicuramente più redditizi in termini di consenso, soprattutto in vista delle elezioni amministrative di primavera e del referendum costituzionale di ottobre. Tuttavia, annuncia per il 2016 la messa a punto di un “intervento organico sulla materia pensionistica”.

Nei primi mesi del 2016, però, il tema pensioni sembra scomparire dall’agenda di governo e a tutt’oggi del piano annunciato da Renzi non c’è traccia. In compenso fa capolino la prima supercazzola. Nei giorni scorsi Poletti, tirato per la giacchetta, dice che sì, il tema “è sempre sul tavolo” e il governo “ci sta lavorando”. Aggiunge che c’è “condivisione sull’esigenza di intervenire e la volontà di farlo”, ma “non è facile”, perché “esistono i vincoli di bilancio ed europei che tutti conoscono”, per cui “servono proposte praticabili e sostenibili” (come a dire che quelle ipotizzate finora non lo sono). E a chi gli chiede come il governo intenda sanare la vergogna del ricongiungimento oneroso (pensato da Sacconi e introdotto nel 2005 dal governo Berlusconi), che costringe i lavoratori che avrebbero già i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione anticipata a ripagarsi (al quadrato) i contributi già versati alle gestioni separate o meno vantaggiose per poterla riscuotere, Poletti ha risposto che “già in occasione della Legge di Stabilità 2016 Governo e Parlamento avevano lavorato per affrontare il tema”, perché – ci mancherebbe – “c’è la volontà di affrontare e risolvere questa ingiustizia”; ma dal momento che per il 2016 non è stato possibile (???), “è nostra intenzione riproporlo per il 2017”. E ha concluso: “Mi auguro che ci siano le condizioni per cui, nella prossima Legge di Stabilità, questi temi possano trovare risposte”. Amen!

A stretto giro prende quindi piede la seconda supercazzola. Interpellato sul tema dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato, il ministro dell’Economia, Padoan, che tiene i cordoni della borsa, rimane quanto mai nel vago. Dice che lui è “favorevole a ragionare complessivamente sul tema”, e che il governo “è aperto soluzioni con fonti di finanziamento complementari, che si possono studiare”. A seguire, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Nannicini, spiega come occorra una operazione “di sistema”, che includa “un mix di misure” da ricercare con “uno slancio di creatività”, combinando “i profili fiscali e di governance del secondo pilastro della previdenza integrativa e il rapporto tra primo e secondo pilastro”, per far sì che ci siano “soluzioni di mercato accanto allo sforzo pubblico”. Capito qualcosa?

La grancassa governativa vende ai media le parole di Padoan e Nannicini come una “apertura”, ma in realtà i due non hanno detto nulla. Nulla che impegni il governo e le finanze pubbliche, s’intende. Stando alle interpretazioni riservate di fonte governativa (e degli esperti di supercazzole), il fantasioso e complesso “mix di misure” si dovrebbe infatti tradurre in due sole parole: “prestito pensionistico”. Che in soldoni significa questo.

Siccome la flessibilità in uscita costerebbe, secondo le stime, tra i 5 e i 7 miliardi, ma nel bilancio dello Stato quei denari non ci sono e l’Europa non ci concede altri indebitamenti, il Governo garantirebbe un prestito bancario a chi vuole andarsene in pensione prima dei 66 anni e 7 mesi. In sostanza, il pensionando accenderebbe un mutuo con la banca (o con un fondo pensione) per avere subito l’assegno mensile decurtato del 2-3% per ogni anno di anticipo; una volta raggiunta l’età pensionabile, l’ente previdenziale comincerebbe a erogargli la pensione, ulteriormente decurtata dalle rate per il rimborso del prestito alle banche, fino al suo esaurimento. Paradossalmente, come già accade per quei ricongiungimenti onerosi (in questo caso il mutuo si contrae direttamente con l’istituto di previdenza) che governo e Parlamento, a parole, giudicano una clamorosa ingiustizia da eliminare.

Morale, l’operazione sarebbe a costo zero per lo Stato e verrebbe pagata in toto dai pensionandi. Che così avrebbero pensioni ridotte all’osso e – per solidarietà inversa – comincerebbero ad avvicinarsi alla condizione dei loro figli e nipoti: quelli che, stando alle previsioni di Boeri, dovranno lavorare fino a 70 e anche 75 anni per avere una pensione da meno di mille euro al mese.

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