Come Renzi in tv froda la par condicio
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Come Renzi in tv froda la par condicio

A pochi giorni dal referendum sulle trivelle il premier si è fatto invitare da Lucia Annunziata per dire la sua.

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6 Aprile 2016 - 22.20


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di Vincenzo Vita

“Per gravi e urgenti necessità pubbliche, la richiesta del presidente del consiglio dei ministri ha effetto immediato” (art.33, terzo comma del Testo unico del 2005). Così recita la norma a proposito della richiesta del premier di poter andare in televisione ad horas. Rispondeva a simile tipologia l’ ”ospitata” imprevista di domenica scorsa a In mezz’ora di Lucia Annunziata? Certamente no, visto che si parlava dell’emendamento per “Tempa Rossa”, vicenda entrata nel procedimento giudiziario.

Quindi, l’episodio è esecrabile e non doveva succedere. Tra l’altro, va sottolineato che siamo in periodo di stretta par condicio per il referendum cosiddetto delle “trivelle”, previsto per il prossimo 17 aprile. Renzi ha approfittato dello spazio improvvidamente acquisito per dire –con malcelata furbizia- la sua. Come emerge dai dati pubblicati dal sito dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’entrata in scena delle notizie sulla consultazione è stata molto ritardata e assai modesta nella quantità. Per di più, il tempo di argomento si confonde con l’attualità e, spesso, è occupato dai fervorini del governo. La legge 28 del 2000 richiederebbe maggior rispetto. Ciò che accade in queste settimane è la prova generale dell’atteggiamento dei media sulla lunga stagione referendaria che si profila, dai quesiti sociali (jobs act, scuola) alla Costituzione. E’ indispensabile guardare la realtà: con la crisi dei partiti di massa lo strumento referendario è ormai quasi l’unica opportunità per tanti di esprimere la propria cittadinanza. E’ utile, allora, pensare ad una sorta di indirizzo “rafforzato” dell’Agcom e della commissione parlamentare di vigilanza, volto a raccomandare una cura particolare nella divulgazione e nell’approfondimento dei quesiti.

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Il panorama dell’informazione italiana è desolante e mostruosamente dominato dal pensiero dominante. Se ciò fosse accaduto con il governo Berlusconi, avremmo sicuramente assistito a manifestazioni, girotondi e sit-in. Perché oggi tanto silenzio, salvo qualche sporadica iniziativa? C’è da rifletterci seriamente, anche per il diffuso disinteresse che si coglie persino nel mondo della sinistra in costruzione. Eppure, i dati del disastro italiano sono nettissimi e l’arretratezza inquietante si riverbera sulla disputa inconcludente sulla banda larga o sull’assenza di una legislazione – nell’epoca del bisogno di massima trasparenza – che recepisca adeguatamente il Foia (Freedom of information act).

E la Rai? A parte l’assenza del decreto ministeriale atteso per chiarire i parecchi punti oscuri del prelievo in bollette del canone, non è stato chiarito cosa accadrà dopo il 6 maggio, data di scadenza della concessione. Sì, sono stati previsti tavoli di lavoro e una pubblica consultazione che si concluderà a giugno , ma al momento manca un atto formale di proroga. A mano che si voglia far provare agli utenti il brivido dello schermo “nero” di cui parlava Jean-Luc Godard. Il rischio non è astratto, visto che le lobby della privatizzazione sono in agguato e non aspettano altro che un interstizio temporale in cui inserirsi.

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Ultimo, non ultimo. In vista della ripresa del processo oscurantista del tribunale vaticano contro i giornalisti Fittipaldi e Nuzzi per i loro libri sugli scandali della Chiesa peggiore, non vi è stata alcuna iniziativa del governo. Si potrebbe assistere ad un esito tremendo, la pena del carcere.

L’articolo 21 della Costituzione è stato abrogato? L’Italia è una nazione indipendente? O ci dobbiamo appellare a Dio, laico o no che sia?

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