“Io sottoscritto Ignazio Roberto M. Marino con la presente comunico formalmente che le mie dimissioni dalla carica di sindaco di Roma Capitale, ricevute con nota prot. 20166 del 12 ottobre 2015 di codesta Presidenza, sono da intendersi con la presente annullate e revocate: da ciò consegue la loro assoluta e totale inefficacia, come prescritto dall’art. 53 comma 3 del D.Lgs n. 267 del 2000. Sono stato eletto con il voto favorevole del 64 per cento delle romane e dei romani partecipanti al voto con un programma da me scritto e sostenuto dalle forze politiche dell’attuale maggioranza”. Comincia così la lettera con cui il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha ritirato ufficialmente oggi pomeriggio le sue dimissioni.
La lettera, condivisa con la Giunta nella seduta di stasera, è stata inoltrata agli uffici competenti per i necessari adempimenti. “Un programma riassumibile in alcuni principi di netta discontinuità con il passato. Un programma che ha fermato il consociativismo, ha fortemente voluto il risanamento dei debiti miliardari nel Comune e nelle aziende municipalizzate- prosegue la lettera- che disegna una città consolidata e non realizza nuovi quartieri di disagio, che riconosce a tutti gli stessi diritti e che ha riportato la legalità contabile e sbarrato la porta alle mafie perseguite da una attenta ed intelligente magistratura. Oggi la città può riprendere ad investire in trasporti, illuminazione, strade, decoro, un nuovo ciclo dei rifiuti ecosostenibile (dopo aver chiuso la discarica più grande del pianeta), nuovi alloggi sociali per le persone più deboli oltre ad attrarre ingenti capitali internazionali per progetti che creano lavoro e benessere”. “Ma sento il dovere di non eludere le altre riflessioni e questioni che sono state sollevate dalle forze politiche in merito alla qualità dell’azione di governo fin qui svolta- continua Marino- Mentre sono certo che il nostro operato abbia con fatica raggiunto l’obiettivo di ripristinare legalità e trasparenza dell’agire amministrativo, mi e’ chiaro che questo sforzo non e’ stato da solo sufficiente a garantire i necessari risultati di buon governo della città. Come spesso accade nei momenti di crisi si riesce a vedere con maggiore lucidità il percorso che ciascuno ha compiuto”.
Poi, dal sindaco arriva un mea culpa: “Pur rivendicando ogni atto e ogni scelta fatta in questi due anni e mezzo per cambiare Roma, non ho difficoltà ad ammettere alcuni errori. Costretto dalle difficoltà e dalla resistenza dei poteri che stavamo sfidando a lavorare giorno e notte per portare a risultato ognuna delle nostre scelte, ho dato l’impressione di non voler dialogare e di non voler condividere queste scelte con la città, che talvolta ha così ha percepito di subirle. Mi spiace, perché non e’ questo il segno che volevo dare, a partire da un dialogo più aperto e costruttivo che avrei voluto avere con l’Assemblea capitolina, a partire dal gruppo del Pd, il partito di cui sono espressione e che ha saputo più volte, insieme a tutta la maggioranza, dare prova di coraggio e determinazione con voti che resteranno storici per la nostra Capitale. Per tutto questo ritengo non sia giusto eludere il dibattito pubblico, con un confronto chiaro per spiegare alla città cosa sta accadendo e come vorremo andare avanti”. Questi, conclude il primo cittadino, “sono i principali punti di confronto sui quali verificare l’esistenza di una visione comune con i partiti che sostengono in Consiglio comunale l’organo di governo del Campidoglio”.
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