di Emiliano Deiana
La legge elettorale non è un fine, ma un mezzo. Ed ogni legge elettorale dovrebbe essere fatta con il più ampio consenso possibile delle forze parlamentari.
Nel 2005 venne partorito il Porcellum dalla sola maggioranza di Centrodestra al fine di depotenziare l’inevitabile vittoria di Romano Prodi alle elezioni del 2006. Berlusconi, per mano di Calderoli, compì il suo “capolavoro” politico: inventò il parlamentare-dipendente scelto sulla base di criteri di fedeltà al capo. Di questa invenzione tutti, poi, ne hanno tratto giovamento. Da ultimo anche Grillo.
Veniva, in un sol colpo, sottratta agli elettori la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti e studiato un meccanismo che diversificava i premi di maggioranza alla Camera e al Senato: a livello nazionale alla Camera, a livello regionale al Senato. Un guazzabuglio.
In più i collegi elettorali erano individuati su base regionale tali da staccare definitivamente gli eletti dai territori. Ma siamo sicuri che col Mattarellum i cittadini avevano la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti? In realtà anche quello era un sistema bloccato. O si votava da una parte o si votava dall’altra. I candidati erano individuati dalle segreterie di partito all’interno di una complessa trattativa nazionale che doveva veder rappresentata, nei diversi collegi, tutta la coalizione che si candidava a governare. I collegi venivano assegnati a rappresentanti di questo o quel partito che componeva la coalizione con una spartizione scientifica e numerica della rappresentanza. Quel sistema, come altri sistemi, avrebbe potuto funzionare solo con elezioni primarie di coalizione per la scelta dei candidati. Altrimenti era (ed è) una finzione, la scelta. Scegliere significa, anche all’interno di uno stesso schieramento o partito, avere la possibilità di assegnare la propria preferenza per una persona piuttosto che per un’altra. Theodor Adorno scriveva: “La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”.
Ieri la Direzione Nazionale del Pd ha deciso la linea. Con un voto, con un po’ di polemiche e con qualche dissenso. L’ipotesi va nella giusta direzione, se non ci fosse un però. Le liste bloccate non vanno incontro al diritto dell’elettore a scegliersi il proprio rappresentante. Alla proposta andrebbero aggiunti, per legge, l’obbligo di tenere consultazioni primarie per l’individuazione dei candidati (scegliendo dunque fra una pluralità di opzioni) e l’introduzione, all’interno della lista da presentare al corpo elettorale, delle preferenze. Ciascun elettore avrà la possibilità di scegliere Tizio piuttosto che Caio sulla base delle capacità, della preparazione, dell’onestà, del radicamento sul territorio.
Il rischio, paventato da molti, che le preferenze siano il nascondiglio del voto di scambio e della corruttela mi sembra possa essere ovviata ponendo un severissimo tetto di spesa alle campagne elettorali, approvando norme stringenti sui molteplici conflitti di interesse, promuovendo una partecipazione all’interno dei partiti politici reale e non fittizia.
Positivi, appaiono a chi scrive, nella proposta illustrata da Renzi i meccanismi (doppio turno e premio di maggioranza) per garantire la governabilità. Tuttavia se non si scioglie il nodo della libertà del voto e della libertà dell’elettore di scegliersi il proprio rappresentante questi benefici effetti verrebbero, di fatto, annullati. C’è da aggiungere, infine, una nota di ordine meramente tattica: con l’introduzione di meccanismi democratici per la scelta dei candidati e con l’introduzione delle preferenze ad avere i maggiori contraccolpi negativi sarebbe il M5S. Un movimento che si muove su scala virtuale, con pochissimo radicamento territoriale e con meccanismi di democrazia interna (il caso Sardegna insegna) abbastanza precari. In realtà, in queste ore, Grillo esulta. Anche se fa finta di protestare.
Un ulteriore elemento di riflessione per i Parlamentari che dovranno votare la legge di riforma.
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