M5s: la base sconfessa la webcrazia di Grillo e Casaleggio

Il clamoroso risultato del referendum on line sul reato di clandestinità è stato solo l'ultimo segnale di una sempre minore sintonia tra i due leader e la loro base.

M5s: la base sconfessa la webcrazia di Grillo e Casaleggio
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15 Gennaio 2014 - 14.28


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di Claudio Visani

E se Beppe Grillo fosse un leader non più in sintonia col movimento che ha fondato e di cui è padre padrone assieme al “guru” Gianroberto Casaleggio? Se i miracolati che ha mandato in Parlamento non lo seguono più e perfino gli attivisti lo sconfessano, significa forse che la sua leadership è entrata in crisi? Se perfino la mitica Rete della democrazia diretta pentastellata, controllata con rigidi criteri aziendali dalla Casaleggio Associati, comincia a dargli dispiaceri e addirittura a virare a sinistra, cosa ci si può aspettare dall’ex comico sempre incazzato di Genova? Mollerà la guida del M5S, come a volte sembra tentato di fare? Tornerà nei teatri? O cercherà un rilancio sul palcoscenico europeo cavalcando le spinte antieuropee e antieuro?

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Il risultato del referendum on line sull’abolizione del reato di clandestinità è stato, sotto questo aspetto, clamoroso. Come si ricorderà, alcuni senatori dei cinquestelle all’inizio di ottobre avevano proposto l’emendamento, poi approvato in Commissione, per l’abolizione del reato. Ma Grillo e Casaleggio avevano subito preso le distanze sostenendo, testualmente, che quell’emendamento era “un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia”, e che se il M5S avesse sostenuto quella proposta alle elezioni politiche “avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico”. Il duo “Grilleggio” aveva poi rinviato al potere salvifico della Rete la decisione finale. Fino al referendum di lunedì 13 gennaio, deciso all’ultimo con un vero e proprio blitz, con appena 7 ore di tempo per votare, un preavviso di poche ore e in qualche caso giunto agli aventi diritto a votazione iniziata, e chi in quelle ore non può stare davanti a un pc perché semmai lavora, s’attacchi.
Ciò nonostante, il responso della Rete è stato tutt’altro che quello atteso. A essere sconfessati non sono stati i senatori che avevano proposto l’emendamento, ma Grillo e Casaleggio. Ed è la prima volta che ciò avviene, pubblicamente. I sì all’abrogazione del reato sono stati 15.839, i no 9.093. Complessivamente hanno votato 24.932 degli oltre 80mila iscritti certificati al portale del M5S. Questa volta – almeno questo – senza contestazioni sulla gestione del voto e sui risultati.

E qui bisogna aprire un altro capitolo, quello della partecipazione. La Rete è enfatizzata ad ogni occasione dai due padri padroni del Movimento come la vera democrazia compiuta, diretta, dove uno vale uno. Ma alle “parlamentarie” votarono in quattro gatti (circa 20mila votanti per 1.400 candidati) e la stragrande maggioranza dei vincitori, tra l’altro scelti tra i candidati non eletti alle amministrative (nel gergo della vecchia politica si chiamerebbero “trombati”), è approdata a Montecitorio e Palazzo Madama con poche decine di voti, praticamente col mandato degli amici di condominio e dei parenti stretti.
Alle “quirinarie” i votanti furono pochi di più, circa 28mila, e colui che alla fine venne sostenuto per la corsa alla presidenza della Repubblica, Stefano Rodotà, ottenne 4.677 voti. Tanto per dare qualche elemento di raffronto: un quarto dei consensi ottenuti dal sindaco di una media città come Bologna alle ultime primarie, lo 0,25% degli oltre due milioni di voti presi da Matteo Renzi alle primarie del Pd, lo 0,05% dei 9 milioni di elettori che hanno votato Grillo alle politiche.

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E’ questa la democrazia compiuta del “Grilleggio”? Così vorrebbero governare l’Italia? Con 20mila “eletti”, o semplici fortunati voltanti, che esprimono la volontà di 9 milioni di elettori, e di un popolo intero? C’è da meditare. E questa volta la meditazione sembra coinvolgere un bel po’ di esponenti di rilievo del Movimento, mica i soliti dissidenti di periferia. Diversi parlamentari mettono sotto accusa la conduzione del blog di Grillo e del portale di Casaleggio: il mitico Staff. “Non è così che si gestisce la democrazia diretta, la politica non è un videogioco. Qui c’è chi crede di poter comandare 150 parlamentari con metodi e strategie di organizzazione aziendale, bisogna togliere questa pistola a Casaleggio. Il M5S è un fenomeno troppo serio per essere diretto in questo modo E’ giunto il momento di dire basta”, dicono, ad esempio, due senatori di primo piano come Lorenzo Battista e Francesco Campanella. E il “dissidente” Luis Alberto Orellana aggiunge commentando il voto sul reato di clandestinità: “Pensavo che gli iscritti fossero contrari. Dopo questo voto non sono più così sicuro che le nostre posizioni critiche siano minoranza nel M5S”.

Anche su altri fronti le campagne di Grillo sembrano appannate. Quella contro i media, in particolare. Per l’ex comico i giornalisti sono il nemico numero uno, quelli “che hanno rovinato l’Italia”, “asserviti al potere” o “poveri sfigati” (i precari) che lavorando per 10 euro a pezzo non possono avere la schiena diritta. Quelli dei giornali di partito, poi, sono solo dei mangiapane a tradimento, come Novella Oppo de l’Unità, che quando ci sarà lui al potere “dovranno cambiare mestiere” perché il M5S “toglierà i finanziamenti pubblici e farà chiudere quelle inutili testate”.

Nel frattempo, via alle liste di proscrizione con la rubrica del “giornalista del giorno” sul suo blog. Prima la Oppo, poi Pierluigi Battista (Corsera) e Francesco Merlo (Repubblica). Con gli squadristi del web che si scatenano con insulti e minacce. Infine l’offensiva diretta contro La Repubblica e La Nazione: quotidiani “serial killer” che fanno “disinformazione scientifica, metodica e chirurgica ai danni del Movimento”, scrive l’ex comico nel suo blog invitando a fermarli “colpendoli dove più fa male, nel portafoglio: non comprateli più”, esorta.

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Ma la guerra ai media e i toni usati ricordano a molti “quando c’era Lui” e vigeva la pratica dell’olio di ricino. Gran parte dell’opinione pubblica reagisce. Nasce una contro-campagna che si ritorce contro Grillo. Anche molti dei suoi non lo seguono più. Si aprono altre crepe. Le voci fuori dal coro crescono di giorno in giorno. Il neonato sindacato grillino dentro l’odiata Rai, Giornalisti in Movimento, prende le distanze. I dissidenti storici rialzano la voce. Scrive ad esempio la bolognese Federica Salsi, che venne cacciata dal Movimento per aver partecipato a una puntata di “Ballarò”: “Quello che sta accadendo è agghiacciante. Casaleggio e Grillo hanno messo in piedi l’ennesimo tribunale dell’inquisizione, l’ennesima lista di proscrizione per qualche click (e qualche soldo) in più. L’ennesimo dagli addosso al giornalista che pone critiche sul M5S, per spostare l’attenzione su una lotta di pancia invece che di testa”.

Lo stesso metodo autoritario e proprietario che venne usato contro di lei e altri dissidenti (come Giovanni Favia e Valentino Tavolazzi) per cacciarli dal Movimento. Una espulsione che veniva decretata d’imperio con un Ps (post scriptum) nel blog di Grillo, seguita da una raccomandata dell’avvocato: “Con la presente, in nome e per conto del signor Giuseppe – detto Beppe – Grillo… le comunico la revoca dell’autorizzazione all’uso da parte sua del marchio MoVimento 5 Stelle di cui il mio cliente è proprietario in via esclusiva”.
Ora anche i dissidenti “storici” pare che si stiano riorganizzando e stiano riallacciando i rapporti con chi non ne può più del “Grilleggio” ma non vuole più regalare al duo che comanda le ragioni e i consensi del M5S. Un movimento che ha preso 9 milioni di voti alle politiche, ha avuto in mano subito dopo le elezioni l’arma carica del cambiamento e l’ha sprecata malamente, e ancora non riesce a diventare grande. Anzi, se continua così rischia di mangiarsi in fretta gran parte del patrimonio. Nonostante le larghe intese. Ma è presto per dire se la fronda farà prendere a quel Movimento un’altra strada, e un’altra leadership.

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