Caro Cavaliere, mi consenta di dirle che alla fine si scopre che a non avere il “quid” è lei. Lo sospettavamo, ma lei, forte di una montagna di soldi, e manovrando questi soldi, era riuscito a mimetizzare a tanti questa sua mancanza. Un pò come ha fatto per i capelli. Questione di soldi, quelli presi dal cassetto della sua impresa.
E la storia d’Italia ci insegna che c’é impresa ed impresa. C’é quella fatta col sudore e col rischio e quella che vince sulle altre grazie grazie all’intrallazzo e al crimine. I giudici, a proposito della sua impresa, sembrano, carte alla mano, propendere decisamente per una delle due.
Caro Cavaliere, non era ad Alfano che mancava il “quid” e lo ha capito ieri, troppo tardi per ricorrere ad una delle sue piroette per uscire ancora una volta dalla merda. Destino triste il suo: avviarsi alla fine per decisione di un delfino del quale, in fondo in fondo, non si è mai fidato, uno svezzato dalla cultura democratica e cristiana della prima Repubblica che proprio lei ci ha fatto rimpiangere.
Caro Cavaliere, una cosa è il tradimento, altra cosa è la liberazione. E quella di chi lo lascia dopo averla sopportato in questi anni, senza mai tradirlo, neppure quando era lei a dare loro mille motivi perché lo mollassero, è una sana, seppure tardiva, liberazione.
Non è mai troppo tardi ci ha insegnato un maestro di scuola, uno di quelli che lei ha disprezzato e umiliato con le sue politiche tese a spezzare le gambe alla cultura. Non è mai troppo tardi chiederle di chiudere.
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