Kazakistan: radiografia di un pateracchio
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Kazakistan: radiografia di un pateracchio

Non sapevo, non pensavo, non credevo. Ecco la ricostruzione della catena di omissioni che ha esposto l'Italia a una figuraccia internazionale.

Kazakistan: radiografia di un pateracchio
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16 Luglio 2013 - 21.35


ATF
Pubblichiamo il testo della relazione del capo della polizia Alessandro Pansa come letta in aula al Senato dal vicepremier Angelino Alfano. Nella relazione Pansa ricostruisce le fasi e i passaggi burocratici della vicenda che ha portato all’espulsione dall’Italia della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov.

«Le ricerche del latitante kazako Ablyazov Mukhtar, hanno preso l’avvio nel territorio nazionale il 28 maggio su input dell’ambasciatore Adrian Yelemessov. Il processo messo in moto da questa informazione si esaurisce in una fase operativa di polizia giudiziaria consistente in due perquisizioni nella villa di Casal Palocco, indicata come nascondiglio del latitante, nel sequestro di denaro, di materiale elettronico e di un passaporto, nella denuncia per il reato di falso a carico di Alma Shalabayeva, senza che il Mukhtar fosse rintracciato.

Dall’operazione di polizia giudiziaria scaturisce poi un procedimento di natura amministrativa relativo all’espulsione della moglie del latitante. L’incarico affidato allo scrivente è quello di accertare la mancata informativa al Governo sull’intera vicenda che, pur essendo pienamente regolare (e queste virgolette sono tratte dal comunicato ufficiale di Palazzo Chigi) “presentava, sin dall’inizio, aspetti non ordinari” (e qui si chiudono le virgolette all’interno del virgolettato del prefetto Pansa).

Tale incarico è volto essenzialmente ad individuare dove si sia fermato il flusso informativo ascendente. È evidente che, in ordine alla prima parte della vicenda, andrà verificato anche se tutti i funzionari di polizia coinvolti fossero a conoscenza che il ricercato kazako fosse anche un dissidente politico nel suo Paese. È altrettanto necessario che, in ordine alla parte amministrativa dell’intera vicenda, vengano verificate le modalità esecutive dell’espulsione che, al di là della loro chiara legittimità, evidenziano caratteri non ordinari.
In primo luogo, va ribadito che, in nessuna fase della vicenda, fino al momento dell’esecuzione dell’espulsione con la partenza della donna con la bambina, i funzionari italiani hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov, marito della cittadina kazaka espulsa, fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakhstan e non un pericoloso ricercato in più Paesi per reati comuni.

In nessun momento è pervenuta o è stata individuata negli archivi di polizia informazione che rilevasse lo status di rifugiato dello stesso Ablyazov. Anzi, la documentazione fornita dall’ambasciatore kazako, diplomatico ufficialmente accreditato presso il Governo italiano, lo segnalava come elemento collegato alla criminalità organizzata e, addirittura, al terrorismo internazionale.

In secondo luogo, va evidenziato che, nel corso dell’intera istruttoria e dalla consultazione di tutta la documentazione fornita, non risulta che Shalabayeva Alma o i suoi difensori abbiano mai presentato o annunciato domanda di asilo, pur avendone la possibilità.

Né è risultato che la citata cittadina kazaka abbia mostrato o affermato di possedere un permesso di soggiorno rilasciato da Paesi Schengen, cosa che hanno fatto i difensori solo in sede di ricorso contro il provvedimento.

Al riguardo, è opportuno evidenziare che quando per la prima volta Shalabayeva Alma viene condotta presso l’ufficio immigrazione, cioè la mattina del 29 di maggio, essa era in compagnia del cognato che all’atto della verifica della sua condizione di straniero in Italia affermava di essere titolare di un permesso di soggiorno lettone, quindi rilasciato da Paese Schengen. Nella circostanza veniva verificata la fondatezza della affermazione e lo straniero veniva rilasciato: il tutto accadeva alla presenza della signora Shalabayeva Alma, che avrebbe potuto anch’essa rivendicare la titolarità di analogo documento.

Per inciso, va rilevato che risultano infondate le affermazioni riportate dagli organi di stampa secondo le quali il citato Seraliyev Bolat sarebbe stato percosso durante l’irruzione riportando ferite al volto. Infatti, il citato Seraliyev alle ore 19,20 del 30 di maggio si è recato presso l’ospedale Aurelia Hospital, dove ha riferito che alle ore 23 del 29 maggio aveva subito una aggressione presso la propria abitazione, cioè nella villa di Casal Palocco, riportando lesioni giudicate guaribili in cinque giorni.

Si precisa che il predetto è stato fotosegnalato alle ore 18 del giorno 29 maggio e non presentava alcuna lesione facciale e che l’intervento presso la villa di Casal Palocco è avvenuto nella notte tra il 28 e il 29. La ripetizione della perquisizione, invece, è avvenuta il giorno 31.

La ricostruzione della vicenda, esposta cronologicamente sopra (cioè nell’indice cronologico che poi pubblicheremo sul sito) e convalidata nelle sue fasi dalle competenti autorità giudiziarie, fa ritenere che la prima parte di essa abbia seguito correttamente tutti i circuiti informativi sia discendenti che ascendenti, cioè dal Ministero all’organo procedente e viceversa. La seconda parte, invece, si è fermata nella fase ascendente ad un livello che non ha coinvolto le strutture di diretta collaborazione del Ministro, cui competeva informarlo.
Dalla ricostruzione dell’intera vicenda e dalle dichiarazioni acquisite dal vice capo della polizia vicario, prefetto Alessandro Marangoni, dal vice direttore generale della Pubblica sicurezza e direttore centrale della Polizia criminale prefetto Francesco Cirillo, da quelle del prefetto Alessandro Valeri, capo della Segreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza, da quelle del prefetto Gaetano Chiusolo, direttore centrale anticrimine, e da quelle del questore di Roma, Fulvio Della Rocca, è possibile ricostruire la seguente cronologia.
La mattina del giorno 28 maggio l’ambasciatore kazako a Roma Adrian Yelemessov, cerca di contattare inutilmente il Ministro dell’interno.

Nella stessa giornata il predetto diplomatico si reca presso la Questura di Roma – squadra mobile, dove fornisce le indicazioni necessarie per la cattura del latitante kazako Ablyazov Mukhtar, sottolineandone la pericolosità.

La sera dello stesso 28 maggio l’ambasciatore fornisce le medesime informazioni al Capo di gabinetto del Ministro dell’interno ed al prefetto Alessandro Valeri, capo della Segreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza.

Quest’ultimo contatta il dirigente della squadra mobile che conferma di essere già informato e di aver avviato tutte le conseguenti attività.

Il prefetto Valeri informa anche il prefetto Cirillo, cui fa capo l’Interpol e che svolge tutte le attività già prima descritte ed indicate nell’allegato 1 (la relazione è piena di allegati).

Lo stesso prefetto Valeri informa il prefetto Gaetano Chiusolo, che a sua volta attiva il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, che ha come compito quello di coordinare e seguire le attività delle squadre mobili.

Della circostanza viene informato anche il vice capo vicario prefetto Marangoni.

L’attivazione duplice delle ricerche del latitante da parte dell’ambasciatore kazako avrà esito negativo e dallo stesso prefetto Valeri verrà data comunicazione al Gabinetto del Ministro dell’interno.

A quel momento, come peraltro nei giorni successivi, neanche era sorto il dubbio che il ricercato fosse un oppositore politico del Governo kazako e che potesse essere oggetto di ritorsioni.

La vicenda che attiene al trattenimento e all’allontanamento dal territorio nazionale di Shalabayeva Alma sembra aver assunto una dimensione rilevante per le autorità diplomatiche kazake. In effetti, le procedure di espulsione di Shalabayeva Alma sono state eseguite, come è corretto che sia, dalle autorità consolari kazake, che sono state solerti nel fornire tutte le indicazioni necessarie all’esecuzione del provvedimento di espulsione e a rilasciare i documenti necessari per l’espatrio sia di Shalabayeva Alma che della sua bambina Ablyazov Alia.

Il coinvolgimento delle autorità diplomatiche kazake non si è però limitato a questa fase, ma si è anche sostanziato nell’allertare l’ufficio procedente alla massima attenzione per motivi di sicurezza, fino a giungere a mettere a disposizione un volo privato dedicato al trasporto delle due cittadine kazake, da Roma ad Astana, capitale del Kazakistan. Anche in questa fase, come sottolinea lo stesso dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura di Roma nella sua relazione del 3 giugno, non era pervenuta alcuna informazione che segnalasse rapporti di parentela della donna con un “dissidente politico kazako”.

Il citato funzionario, primo dirigente della Polizia di Stato, dottor Maurizio Improta, ha dichiarato, come si rileva dall’accluso allegato n.20, di non aver informato nessuno dei suoi superiori del volo diretto per l’allontanamento della donna, non essendogli stato specificato dal consigliere dell’Ambasciata kazaka che il volo fosse appositamente stato predisposto per la stessa.

Infatti il funzionario testualmente riferisce (inizio a leggere il virgolettato del funzionario): “In ordine all’aereo con cui la donna è stata rimpatriata, va precisato che il 30 maggio, quando ho chiesto la certificazione dell’identità kazaka della donna, il diplomatico presente in ufficio, Consigliere Khassen, mi chiese come l’avremmo rimpatriata qualora il provvedimento fosse stato convalidato dal giudice. Nella circostanza spiegai che il rimpatrio sarebbe avvenuto dopo la convalida e anche dopo che ci fossero pervenuti i nulla osta da parte delle autorità giudiziarie competenti. Spiegai che, non essendoci volo diretto per il Kazakistan, avremmo utilizzato la tratta Roma Mosca – Mosca Astana.

Nella circostanza il consigliere Khassen ebbe a dirmi che probabilmente, entro qualche giorno, ci sarebbe stato un volo diretto da Ciampino. Lo stesso raccomandava massima cautela perché nel cambio di aereo a Mosca ci sarebbe stato il rischio che uomini armati, pagati dal marito latitante, avrebbero potuto tentare la liberazione della donna. D’altra parte gli alert sulla pericolosità del soggetto rendevano plausibile tale affermazione. Non diedi seguito alla richiesta, essendo necessaria la convalida e l’acquisizione dei lasciapassare.

Il giorno dopo, quando lo stesso Khassen venne a consegnare i lasciapassare richiesti, conseguentemente alla convalida del trattenimento presso il CIE, il consigliere Khassen mi comunicò che il citato volo da lui precedentemente segnalato era in partenza proprio quel pomeriggio intorno alle ore 17. Comunicò che sul volo erano presenti sia lui che il console kazako e che quindi potevamo anche decidere di effettuare l’espulsione senza scorta, anche perché a bordo c’era personale di volo femminile. Sulla base di questa affermazione non emergeva che il volo fosse stato preso appositamente per il rimpatrio. A questo punto, dopo avere acquisito gli ulteriori nulla osta, incaricavo l’assistente Laura Scipioni di portare i lasciapassare a Ponte Galeria e insieme al personale che parla la lingua russa di accompagnare la signora a Ciampino.

Nella circostanza, stante le precedenti segnalazioni, chiedo alla squadra mobile e alla Digos, nelle persone dei dirigenti di coadiuvare ai fini della sicurezza, con il proprio personale, il trasporto all’aeroporto della Shalabayeva. Non mi risulta che la donna abbia rappresentato all’assistente Laura Scipioni, che parla inglese correttamente, la volontà di chiedere asilo. Non mi risulta che abbia rivolto analoga richiesta all’altro personale, compreso quello che parla la lingua russa. In aeroporto la donna e la sua bambina vengono consegnate, precisamente sotto la scaletta del citato aereo, al console kazako e all’altro diplomatico. In effetti, la consegna alle autorità consolari, invece di avvenire alla discesa dell’aereo in Astana è stata effettuata, sempre alle autorità consolari, in partenza da Roma. Non ho comunicato preventivamente ai miei superiori l’uso del volo Roma Astana, non avendo alcuna possibilità di comprendere che fosse stato l’aeromobile noleggiato appositamente per l’occasione. Non mandando il personale in missione per la scorta della donna non avevo necessità di chiedere ulteriore autorizzazione””. Si chiude così il virgolettato del funzionario Improta.

“Va anche detto” – e qui riprende il rapporto del prefetto Pansa “che le richieste formulate dalla Shalabayeva Alma sulla volontà di essere espulsa verso la Repubblica Centro Africana difficilmente potevano essere accolte, se si considera che si tratta di un Paese per il quale l’UNHCR sconsiglia i rimpatri forzati. Si ritiene opportuno a questo punto ricostruire i singoli passaggi del flusso informativo, che non è pervenuto all’attenzione del Ministro dell’Interno.

In primo luogo, va precisato che il canale informativo che fa confluire le notizie necessarie al Ministro dell’interno è di norma il Capo di Gabinetto del Ministro o direttamente il capo della Polizia oppure i loro sostituti. Gli uffici sui quali si concentra il flusso informativo che fa riferimento al Capo di Gabinetto è l’Ufficio del Gabinetto del Ministro dell’interno; quello che fa riferimento al Capo della Polizia è la segreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza.

È evidente che non tutte le informazioni sono state portate a conoscenza del Ministro in quanto sono preventivamente selezionate in ordine di importanza e rilevanza. Tale valutazione compete ai vertici dei citati uffici che, sulla base dell’esperienza, della prassi, delle esigenze, delle circostanze contingenti e del contesto generale, classificano le informazioni secondo un ordine di priorità a cui sono collegati comportamenti conseguenti.

Per quanto concerne le espulsioni, ai sensi della normativa vigente le stesse che sono predisposte con provvedimenti dei perfetti non vengono assolutamente segnalate al Ministro che ne può prendere tutt’al più cognizione periodica sul piano meramente statistico. Nel caso in esame, è evidente che nella prassi non esisteva obbligo di informazione al Ministro sia perché si trattava di un’espulsione ordinaria sia perché non vi era né evidenza né consapevolezza che il marito della espulsa fosse un dissidente, sicché nessuna informazione è stata data al Ministro.

Va di converso detto che l’attenzione di un altro Paese così evidente e tangibile attraverso l’impegno diretto del proprio ambasciatore e l’utilizzo di un volo non di linea per il rimpatrio delle due cittadine kazake avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del Ministro stesso. In effetti, la verifica fatta dallo scrivente, come prima riferito, porta a ritenere che si è data importanza alla sola ricerca del latitante, che è stata attentamente seguita e comunicata nel suo esito negativo il 29 maggio dai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza al gabinetto del Ministro.

È mancata in quel momento però l’attenzione ad una verifica puntuale e completa su tutto il rapporto innescato dalle autorità diplomatiche kazake che, avendo coinvolto direttamente il Gabinetto del Ministro, avrebbero dovuto essere seguite in tutte le fasi del loro rapporto con gli organismi territoriali a cui è demandata la mera operatività.

Non è stata seguita per niente dal Dipartimento della pubblica sicurezza la fase relativa all’espulsione della moglie del ricercato a cui gli organi territoriali hanno attribuito un mero valore di ordinarietà burocratica, come si evince anche dal tipo di coinvolgimento della prefettura di Roma che ha predisposto il provvedimento di espulsione la cui richiesta è pervenuta ordinariamente, via fax, e senza sollecitazioni o particolari avvertimenti.

Il punto nodale della ricostruzione quindi è comprendere perché si sia fermato il flusso informativo che fino ad un certo punto ha coinvolto la segreteria del Dipartimento e il Gabinetto del Ministro e nella fase conclusiva si sarebbe bloccato al livello di uffici territoriali. In effetti, il questore di Roma, sentito dallo scrivente nell’ambito della disposta inchiesta amministrativa, afferma di non avere dato direttamente informazione al Dipartimento nelle varie fasi dell’attività svolta dai suoi uffici, perché consapevole che lo stesso Dipartimento fosse direttamente informato dagli stessi uffici della questura.

Su questo punto si è soffermata l’attenzione dello scrivente in quanto anche qui emerge la differente gestione delle due fasi della vicenda: quella delle ricerche del latitante e quella dell’espulsione della moglie. Dagli atti assunti si ha precisa informazione della correttezza del flusso informativo sino a quando si acclara l’esito negativo delle ricerche di Ablyazov. Per quanto riguarda le fasi successive, il prefetto Valeri ha memoria solo delle informazioni relative alla fase di Polizia giudiziaria, ma non ricorda quando ha appreso dell’espulsione della donna e delle modalità esecutive dell’espulsione stessa.

Il dirigente dell’ufficio immigrazione, che ha mantenuto i rapporti con gli organi investigativi territoriali (Squadra mobile e Digos), non ha attivato canali autonomi di informazione né nei confronti del questore né del Dipartimento della pubblica sicurezza, non avendo percepito la straordinarietà delle modalità con cui l’espulsione è stata eseguita.

In termini conclusivi, emerge che il Dipartimento della pubblica sicurezza non ha seguìto in tutte le sue fasi il processo stimolato dalle autorità diplomatiche kazake, che avrebbero voluto investirne direttamente il Ministro ma che erano riuscite a raggiungere solo il suo capo di gabinetto. Lo stesso Dipartimento della pubblica sicurezza ha seguito l’evolversi delle iniziative dei diplomatici kazaki solo fino ad un certo punto, come se dovesse rispondere al gabinetto del Ministro solo relativamente all’eventuale cattura del latitante e non dell’insieme dell’operazione.

Tanto si rassegna per i provvedimenti che la signoria vostra intenderà adottare».

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