D'Alema, lo scorpione in mezzo alle rane

Apprezzo l'intelligenza e la cultura politica di Massimo, ma non mi sono mai sentito in sintonia con lui. Ecco perché lo critico. [Giancarlo Governi]

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8 Luglio 2013 - 10.26


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di Giancarlo Governi

Ho ritrovato su Globalist un mio articolo dell’ottobre scorso intitolato [url”Lo confesso: D’Alema mi sta antipatico”]http://www.globalist.ch/Detail_News_Display?ID=34836&typeb=0&lo-confesso-D-Alema-mi-sta-antipatico[/url]. Volevo scriverne un altro sulle gesta di “baffino di ferro” ma poi mi sono detto: perché sprecare altre parole, quello che scrissi allora è sempre di grande attualità, visto che il nostro si è messo alla testa della ennesima crociata distruttiva.

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Questa volta il suo obiettivo è sbarrare la strada a Renzi, nel partito e anche nella premiership del Paese. La sua tattica prevede due primarie per scindere la figura del segretario del partito dal candidato premier, una furbata che gli permetterebbe di portare alla segreteria del partito un suo fedele (ce ne sono diversi, uno addirittura parla e gesticola come lui, l’unica cosa che lo distingue sono i baffi: lui ne è privo) in maniera da manovrare il partito contro Renzi, da usare alle seconde primarie per abbattere un candidato definitivamente spompato.

 

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Quale sia lo scopo finale di D’Alema non è dato sapere, visto che lui personalmente è tagliato fuori da tutto. Mi sono ricordato la storiella dello scorpione che chiede alla rana di trasportarlo dall’altra parte del fiume sulla sua groppa. La rana crede alla sue rassicurazioni ma proprio in mezzo al guado, lo scorpione punge la rana che, morente, chiede “perché”. Lo scorpione prima di affogare risponde: “è carattere!”
Comunque questo era l’articolo che ha conservato tutta la sua attualità.

Lo confesso: Massimo D’Alema non mi è mai stato simpatico. Apprezzo la sua intelligenza, la sua cultura politica, però non mi sono mai sentito in sintonia con lui. La mia antipatia nei suoi confronti cominciò quando fece fuori Occhetto dalla segreteria del partito. Un uomo che aveva smosso le montagne, che aveva traghettato il partito comunista verso il cambiamento dopo il crollo dell’impero sovietico, e che proprio per questo, meritava una maggiore considerazione. Anche se aveva perso le elezioni del 1994. Dopo la caduta di Occhetto ci fu una consultazione nazionale fra tutte le federazioni che si espressero a favore di Walter Veltroni (allora non c’erano le primarie). Ma alla fine risultò segretario quello che le federazioni non avevano indicato: D’Alema.

Il capolavoro negativo di D’Alema deve ancora arrivare e passa attraverso il fallimento di una bicamerale voluta da lui e nella quale tenta un accordo “costituzionale” con Berlusconi, e si compie con lo sgambetto di Bertinotti al governo di Romano Prodi, il migliore della seconda Repubblica.. D’Alema dette la colpa a Bertinotti ma si capì che lui non fece niente per difendere quel governo che stava risanando l’economia e stava portando l’Italia in Europa. Poi si capì perché: al posto di Prodi ci andò lui. A Palazzo Chigi rimase soltanto un anno perché si dimise alla prima sconfitta elettorale nelle regionali. Le sue dimissioni aprirono la strada al quinquennio berlusconiano che fu il più devastante della storia della Repubblica.

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Si suppose, perché le cose erano nei fatti, che ci fosse un accordo di potere fra D’Alema e Berlusconi.

E ora arriviamo alle vicende di oggi. Preso di contropiede da Veltroni che ha annunciato di non volersi ricandidare al Parlamento, D’Alema ha incominciato a brancolare nel buio, ad annaspare come annaspa un non nuotatore caduto in acqua. Prima ha minacciato Renzi, poi ha detto: se alle primarie vince Bersani non mi ricandido, ma se vince Renzi mi ricandido, e allora sarà “battaglia dura”. Ha detto proprio così “battaglia dura”.

Ma contro chi? Contro il candidato leader proposto dal centro sinistra? Che cosa farà? Inviterà la gente a non votare per Renzi? Farà una scissione? Oppure boicotterà Renzi, presidente del consiglio, facendo una opposizione all’interno della maggioranza? Sono interrogativi inquietanti indotti dal comportamento di un uomo politico che non vuole ammettere di essere superato.

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Lo confesso: dopo tanti anni, Massimo D’Alema mi è diventato ancora più antipatico.

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