di Pietro Manigas
Bersani guida una specie di condominio rissoso, il Pd. Va più d’accordo con Vendola che con Bindi, Renzi e compagnia cantante. Tutti solisti. Sarebbe carino aggiungere: della sconfitta, visto il ventennio dal quale usciamo (usciamo…) e gli autogol uno dopo l’altro che hanno caratterizzato questo periodo di storia. Il motto, tramontato il centralismo democratico, deve essere: ognun per sé. Anche qui sarebbe il caso di aggiungere: e Berlusconi per tutti.
Già, perché mentre a sinistra si consumava la sconfitta diluita nel tempo delle camarille, lui governava. A modo suo: al governo e all’opposizione contemporaneamente. Risolvendo cosucce personali grazie ai suoi dipendenti parlamentari ed evitando che si mettesse mano su qualunque riforma seria per dare un minimo di giustizia civile e sociale al Paese. Deve possedere un segreto che non conosciamo, visto che ancora oggi – dopo essere passato per i bunga bunga e per i processi infiniti, per la decine di sciocchezze internazionali forte della pochezza del suo staff – domina la scena. E costringe il Pd a una guerra interna logorante sempre sullo stesso punto, da venti anni a questa parte: Silvio, Silvio, Silvio.
Dalla Bicamerale all’infausta esperienza del governo finto tecnico Monti. Per giungere a oggi: il governissimo. E il Pd a chiedersi a suon di dichiarazioni di personaggi che ogni volta hanno l’aria di aver capito la situazione: con Berlusconi o no.
Quindi lui ha già vinto. Come sempre, si discute di lui. E se il Pd non cercherà un accordo di governissimo è facile che si vada alle elezioni estive e che Silvio possa addirittura vincere. Se invece farà l’accordo è facile immaginare una situazione simile al Governo Monti: agguati parlamentari e accordi non mantenuti. Un altro passo per la deriva del paese e per la scomparsa del centrosinistra.
Insomma, qualunque cosa accada è già un disastro per il Pd. Sicuramente anche per il Paese, costretto a scegliere tra i bizantinismi pieddini, le paraculate berlusconiane e Grillo.
Già Grillo, come dimenticarlo. Incredibile fenomeno, capace di alterare la già alterata casta informativa (mi è scappata…). Lui è un comico. Più abituato alla scena di Crozza. Gestisce l’attenzione e i riflettori come desidera, vestito da pupazzo integrale o inventando fughe dalla Capitale per improbabili campagne a tosare – per citare Spinoza – il gregge.
La finta fuga prevede il per forza prevedibile inseguimento ossessivo spasmodico dei media. Irritante assedio per strappare una parola. Ritualità del nulla elevata all’ennesima potenza. E poi i portavoce, i portavoce dei portavoce, i saluti negati alla Bindi, i troll, gli antitroll, la pravda digitale del perfetto grillino.
Un casino, direbbero i commentatori politici più avveduti. Un delirio sotto le stelle, cinque per l’esattezza. Che però coglie il senso del delirio nazionale, della corsa di tutti contro tutti. Senza mai chiedersi per che cosa; mai dubitando: dove corriamo? E sempre a voce alta, a urla e insulti. Perdendo di vista ogni elemento ddi democrazia pratica, non dico etica del discorso, ma un minimo di rispetto per le ragioni dell’altro.
E se prima, nel balletto del Pd eravamo nel Paese irreale, qui tra troll e Grilli incappucciati – sottofondo ululante – saremmo nel Paese reale. Quello che vuole cambiare il mondo a suon di hashtag. Mentre Berlusca, il terzo comodissimo (altro che incomodo) in questo bordello si trova come un papa, anzi come papi che è e che sarà. Si frega le mani e aspetta. Ha già vinto perché tutti noi – qualunque sia la nostra idea o posizione – stiamo giù cominciando a perdere tutti insieme.
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