Il quasi ventennio berlusconiano

Nei libri di storia si parlerà degli anni di Silvio non solo per i danni politici ed economici, ma anche per i cambiamenti che ha indotto nella comunicazione e nel linguaggio.

Il quasi ventennio berlusconiano
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27 Dicembre 2012 - 16.19


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di Marco Fiorletta

E così, dobbiamo rassegnarci, nei libri di storia dopo il ventennio fascista si parlerà del quasi ventennio berlusconiano. E non se ne parlerà solo per gli effetti politici ed economici che esso ha avuto sulla vita italiana e non solo, ma anche penso, per i cambiamenti che ha indotto nella comunicazione e nel linguaggio.

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Pensateci, con la sua “discesa in campo” ha iniziato ad appropriarsi di un termine para-calcistico che con la fondazione del suo partito ha raggiunto l’apice inducendo molti a non gridare più “Forza Italia” alle partite che vedevano impegnati singoli o rappresentative nazionali. Il nonoscurodellademocrazia ha portato tutti a ricercare nuove frasi, allegorie, allocuzioni, termini pur di distinguere l’agire di Berlusconi dagli altri politici.

Prima c’era la politica, nel bene e nel male, con gli alti e bassi che gli sono propri, con il di lui “avvento” tutti, dai giornalisti ai comici fino ai frequentatori dei bar, hanno dovuto ripensare il modo di esprimersi. Per non parlare di coloro che frequentano i nuovi mezzi di comunicazione, i social network, le piazze telematiche. In tanti si sono cimentati nell’impresa di trovare similitudini, apparentamenti degli atteggiamenti e delle dichiarazioni del leader del Pdl con film, cartoni animati, personaggi storici o di fantasia. Insomma Berlusconi ci ha indotto a cambiare anche il nostro linguaggio.

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E riesce sempre a trovare, a dare nuovi spunti a tutti. Prendete l’ipotesi della congiura planetaria (già è tanto che non abbia detto giudo-plutaico-massonica, nei giorni scorsi ha sproloquiato di un qualcosa “fascista-nazista-comunista”) che avrebbe portato al suo defenestramento o l’offesa, gratuita, a Monti che sarebbe salito in politica perché di rango inferiore mentre lui sarebbe disceso perché di rango superiore. Ma uno bravo che trovi un posto libero non si trova?

Prima c’era la politica, piana, chiara, lineare. Destra, centro e sinistra. C’erano le tribune elettorali dove ognuno diceva la sua, dove, anche allora, si sfiorava la rissa verbale ma, perlomeno così è nei ricordi, diversa da quella dei giorni nostri. Non c’erano gli interruttori professionali come ora. Ricordate Schifani e Lupi prima maniera? E l’onorevole Vito (a proposito che fine ha fatto)? O lo stesso Sgarbi offensivo, che ripetendo ossessivamente una parola impedisce all’avversario di esprimersi? No, prima si discuteva, animatamente ma si controbatteva con argomenti non con starnazzamenti da aia.

Prima c’erano i comizi, dove un signore qualsiasi saliva sul palco, spesso improvvisato, e parlava alla gente a nome di un partito e portava avanti un ragionamento che avrebbe dovuto indurre l’elettore a scegliere lui come candidato e, di conseguenza, anche il partito. Ora basta andare in un gazebo e mettere una crocetta su un nome a cui al massimo si associa una fotografia ma senza che si sappia nulla su cosa pensa e come lo spieghi. E siamo anche fortunati che qualche partito ci dia questa possibilità.

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Il quasi ventennioberlusconiano sarà ricordato sui libri di storia anche per l’impulso dato dal premier al fiorire di comici, satirici, imitatori che alla fin fine sono gli unici che hanno tratto beneficio dal cambiamento.

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