Incredibile ma vero. Tutti a parlare di abolire i costi della politica, della necessità di arrestare i privilegi della “casta” in un momento in cui tutti stanno facendo sacrifici. Ed ecco che nelle aulee parlamentari si lavora alacremente per evitare che questi buoni propositi di concretizzino. E con ingegno.
Prendi il caso segnalato oggi dal Corriere della Sera dei vitalizi per i consiglieri regionali. Un decreto del governo Monti aveva introdotto l’opbbigo nazionale per i consiglieri regionali di poter percepire una pensione solo a 66 anni (allineandolo alla riforma delle pensioni che tocca a tutti) e soltanto per coloro che avranno alle spalle almeno 10 anni di mandato. Da tutti era stata ribattezzata “norma anti-Fiorito”, perché con le leggi della Regione Lazio il quarantunenne di Anagni avrebbe potuto riscuotere una pensione a 50 anni e solo con tre anni di mandato.
Il decreto non era piaciuto praticamente a nessuno in parlamento: sono tantissimi i deputati che hanno un passato da consigliere regionale e che erano intenzionati a difendere le proprie prerogative.
Ma il modo in cui ci sono riusciti è veramente frutto di una mente sopraffina. E’ bastatao infatti introdurre una modifica a un emendamento. Aggiungere una specificazione, apparentemente innocente: “Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle Regioni che abbiano abolito i vitalizi”. E chi sono le Regioni che hanno abolito i vitalizi? Tutte. E allora perché specificarlo?
Semplice: perché in questo modo quanto scritto nel decreto, e cioè l’obbligo del pensionamento a 66 anni e dopo 10 di mandato, non è più applicabile a nessuno. Ognuno può tornare a fare come vuole, sostituendo i vitalizi con pensioni contributive che a quel punto potrebbero essere riscosse a 60 anni, o anche prima. E magari non dopo 10 anni di amndato ma cinque. Come alcune proposte giù fioccate sui relatori della legge. Che però sembravano un po’ spudorate. Meglio farlo con discrezione.