D'Alema, le primarie e i cani morti della politica
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D'Alema, le primarie e i cani morti della politica

Scaricato da Bersani, D'Alema si lascia andare a messaggi in codice minacciosi. Esempio di politica superata e da superare. Al Paese serve altro. [Tancredi Omodei]

D'Alema, le primarie e i cani morti della politica
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17 Ottobre 2012 - 14.11


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di Tancredi Omodei

E’ capitato di avere una vecchia auto e di non sentire il bisogno di rottamarla. La macchina comunque andava, serviva e si andava avanti. E’ anche capitato, però, di trovarsi tra le mani un’auto con una sola soluzione, la rottamazione. Urgente e senz’altra scelta: troppo vecchia, onerosa e pericolosa. Ci pensavo arrivando alla fine dell’intervista che Massimo D’Alema ha dato a Repubblica nel giorno in cui le prime pagine dicono che Bersani molla D’Alema.

D’Alema ha preso male, fin dall’inizio, queste primarie. Gli hanno accentuato i limiti caratteriali, mai contrassegnati dalla simpatia e pregni, come dire, di una eccessiva autostima. Si racconta che recentemente, in aula, venutosi a trovare accanto al deputato Giacchetti, senza guardarlo gli abbia detto una frase così sintetizzabile: “Ho saputo che sostieni Renzi… Da questo momento considera chiuso ogni rapporto, saluto compreso…”. Vero o falso, a dire di quanto male l’abbia presa D’Alema ci sono le stesse parole con le quali l’ex presidente del Consiglio e attuale presidente del Copasir (Servizi segreti) chiude l’intervista a Repubblica: “Se c’è qualcuno che pensa che io sia ormai un cane morto, beh, credo proprio che in termini di consensi reali, nel partito e nel Paese, si sta sbagliando. E se ne accorgerà”.

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Parole di una durezza e così intrise di messaggi da lasciare sgomenti. E perplessi sull’opportunità che la politica – che tutti si augurano nuova e diversa nelle parole e nelle opere – sia segnata da questo spirito, che appare arcaico e legato a logiche e metodi già bocciati dalla Storia e inseguiti dall’indignazione contemporanea. Cane morto no, animale selvaggio ferito sì.

La politica italiana ha molta strada da fare per non essere doppiata dalle moderne democrazie. Non siamo riusciti a darci un modello di comportamento che privilegi ai messaggi in codice il confronto sulle cose e sulle idee. Gli Stati Uniti sono lì a indicarcene uno mentre noi, in attesa che i candidati alla leadership del Paese tornino ai confronti diretti, non riusciamo a ottenere un confronto, e magari civile, dai candidati alle primarie di uno schieramento che vuole candidarsi al governo del Paese. E il nostro Paese non ha bisogno di cani morti, e non ha bisogno di animali selvaggi feriti, semmai – restando in tema – di un forte, intelligente e gioioso branco di beagle che corre verso la luce, come quelli strappati al Green Hill.

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