La lettera. Hanno goduto di buona stampa. Di ottima stampa. Sono arrivati in prima pagina sul “Corriere”, e sono stati segnalati nientemeno che nella rassegna stampa della Presidenza del Consiglio. Piacciono, insomma. Piacciono alla gente che piace, alla gente che conta. Sono un gruppetto di ventenni (diciannove per l’esattezza ma solo tre ragazze) che hanno scritto una lettera aperta a Monti. Lettera che ormai da un giorno e mezzo riempie tutti i dibattiti politici, dà fiato ai commentatori.
Il “Corriere”, pubblicandola, l’ha titolata con molta enfasi: “Non lasciate i giovani fuori dal tavolo” (delle trattative, ndr). In realtà, l’obbiettivo sembra essere molto più terra terra: provare a dare un minimo di dignità culturale all’abolizione dell’articolo 18.
Chi sono? Il gruppetto di ragazzi scrive, insomma, di non sentirsi “scandalizzato” se, finalmente, si comincia a ragionare sul superamento delle norme che bloccano i licenziamenti. Norme che sarebbero l’impedimento al “dispiegarsi” nel mercato del lavoro delle nuove generazioni.
Loro, i diciannove, non spiegano di più.
In tanti hanno già risposto. Chi seriamente, chi sbeffeggiandoli. Ma resta un problema: come mai in un paese così gerotoncratico, diciannove ragazzi – e solo loro – riescono a trovare tanto credito? Chi sono, insomma? Scorrendo le firme sci si accorge che c’è un po’ di tutto. Anche se poi, a ben vedere, quel “tutto” è molto omogeneo.
Il ghostwriter stile anni Settanta. C’è il ragazzo di Milano (sopra la media: 22 anni) che ironicamente si definisce “ghost writer di fama intercomunale” che magari per provare ad imporsi oltre i confini della Lombardia, ha dato vita ad un blog. Spazio Web che Antonio usa per riflessioni su svariati argomenti. L’ultima di pochi giorni fa. E commentando la manifestazione milanese indetta dai giovani della Val di Susa (purtroppo per il “Corriere” sono giovani anche quelli) scrive così: “Ciò che intristisce è il fatto di dover riscoprire il cuore della metropoli oltraggiato dalla codardia di un mucchio selvaggio”.
Ironia della sorte: Antonio usa le stesse, identiche parole che 40 anni fa utilizzava in radio, un simpatico anche se improbabile “professore”. Che in una splendida trasmissione radiofonica di Arbore e Buoncompagni (ai loro esordi o quasi) facevano commentare le inquietudini giovanili ad un insegnante, che immancabilmente rispondeva: “Capelloni… codardi… mucchio selvaggio… beduini…”. Questo, quarant’anni fa. Antonio, insomma, non fa proprio la figura del giovane. Tanto che “katum” su twitter gli scrive così: “Un articolo che si poteva leggere nei primi anni sessanta”.
Matteo, cattolico da Durham. Altri nomi? C’è Matteo che è italianissimo ma vive e studia a Durham, Inghilterra. In una prestigiosissima università cattolica. Rigidissima, costosissima e famosa –dicono- per avere sbarrato la strada a qualsiasi idea liberale. Matteo, officiante alla cappella dell’università –ruolo, pare di capire, che non si assegna tanto facilmente se non ad una piccola, ristretta cerchia di “fidatissismi” del rettore– comunque ha sempre avuto uno sguardo attento ai problemi sociali. Tant’è che risulta fra i sostenitori del “Comune dei giovani”. E’ un piccolo centro, a metà strada fra il progetto educativo e il centro d’assistenza, che nacque all’inizio degli anni ’60, a Santa Croce di Bassano. Per iniziativa di don Didimo Mantiero, parroco ma anche scrittore. Suo un testo sulla necessità di scuole di cultura cattolica. Il “Comune dei giovani” fra i suoi meriti vanta anche il fatto di aver creato “quadri” per la pubblica amministrazione: ben due sindaci di Bassano del Grappa. Entrambi democristiani.
La dichiarazione di intenti del triestino. Non basta ancora, altri nomi dei firmatari? C’è lo sportivo, anzi la sportiva, c’è il ragazzo triestino che su Flickr ha postato una sua dichiarazione di intenti. Datata l’anno scorso quando si è presentato alle elezioni studentesche. Lui vuole battersi per la partecipazione e crede che Internet sia un buono strumento per sollecitarla (anche se, ammette, usa un po’ troppo FaceBoook). Tutto qui. O magari si potrebbe aggiungere che fa parte del “Movimento giovanile salesiano triveneto” che, nel suo programma, scrive così: “Lo scisma d’Oriente è stato un’umiliazione per Roma. Così come la Riforma fu un’altra umiliazione per la Chiesa romana, perché con Lutero e Calvino la metà della popolazione europea ha abbandonato la comunione con Roma”.
Sono di destra? Ce n’è quanto basta, insomma, perché qualcuno, sul twitter di Pietro (altro firmatario della lettera aperta che si vanta del “successo” ottenuto dall’iniziativa), scriva così: “Aspettavamo solo che arrivassero i giovani del pdl a spiegarci che col licenziamento facile tutto sarebbe andato meglio”.
Sono ragazzi di destra, allora? No, o almeno non “ufficialmente”. Perché fra i firmatari c’è anche Timoteo Carpita, ventenne. E’ uno studente della Luiss (e che altro sennò), ama il nuoto, linguaggio giovanilista (stavolta davvero), ed è un militante del piddì. Di più: è responsabile del settore economico del partito ad Assisi. Naturalmente anche lui ha un blog, dove si racconta. E dove si rammarica di non avere avuto la fortuna di nascere “baby boomer”.
Il giornalista-blogger. Altrettanto naturalmente, anche lui fa il giornalista-blogger. Scrive su “QdR magazine”, Qualcosa di Riformista. Una testata non proprio diffusissima ma che comunque vale la pena leggere. Nell’ultimo numero, in home page, c’è il racconto della biografia di Stefano Fassina, responsabile economico del piddì. Che – timidamente – ha denunciato la mancanza di equità delle scelte di Monti. “QdR” non glie la perdona. E racconta come lo stesso Fassina, pochi anni fa, fosse un fedelissimo di Veltroni e appassionato delle teorie del Lingotto. Ora ha “tradito” ed è finito alla berlina sulla rivista di “cultura riformista”. Ma non è tutto. Nel manifesto che spiega la mission del giornale su cui scrive Timoteo c’è scritto così: “Ci piace la corsa, nella sua essenza. Altri ritengono che la corsa sia di per sé sbagliata, perché c’è chi vince e chi perde”. Loro no, loro vogliono correre sempre e comunque.
Una prosa reaganiana. Prosa da chi ha una vaga infarinatura di testi futuristi, prosa che, comunque, qualsiasi età si abbia (20, 30, 50 o 70 anni) si può definire in un solo modo: reaganiana.
Sono questi, i diciannove ragazzi che monopolizzano il dibattito in Italia. E quei due milioni di firmatari del referendum sul’acqua (oltre la metà sotto i 25 anni) aspettano anche loro di conquistare la prima del “Corriere”. Aspettano pazientemente. Ma non sanno correre.