Riccardi, la Dc, la Chiesa ed il mondo cattolico
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Riccardi, la Dc, la Chiesa ed il mondo cattolico

A un convegno sulla Dc, il neo Ministro per la Cooperazione Internazionale si svela. La parte più attuale della sua lunga ricostruzione storica.

moro e fanfani
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20 Novembre 2011 - 21.16


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di Andrea Riccardi

La DC, fino agli anni Sessanta, era stata la parte del mondo cattolico più trainante e impegnata nella società, per così dire, nella modernizzazione; ma paradossalmente viene sorpassata dai cattolici in ordine sparso. Per non pochi l’ombra del vecchio sovrasta la DC rispetto al nuovo della “primavera” del Concilio. La DC non è il compromesso con il potere? Dove il Vangelo? Giuseppe Alberigo, discepolo di Dossetti, ne parla come di un “mostro teologico”. Il modo democristiano di fare politica, la cultura, il linguaggio, lo spirito di mediazione sono fuori moda per parte del cattolicesimo. Essere democristiani diventa progressivamente un termine negativo. E’ una sensibilità che sale dalla fine degli anni Sessanta. Si scompone, proprio con papa Montini, la costruzione del blocco cattolico inaugurata nel dopoguerra. Questo riguarda i cattolici militanti, più che i praticanti.

In realtà la DC aveva tentato di aggiornarsi all’evento conciliare. Lo si vede al convegno di Lucca del 1967 fin dal titolo: I cattolici italiani nei tempi nuovi della cristianità. La relazione di Gabriele De Rosa ammonisce: “Innovazione non vuol dire distruzione. Una politica per il futuro non vuol dire ricerca dell’avventura, non vuol dire rinnegamento del passato, nello slancio misticheggiante di un cupio dissolvi in vista di un approdo confuso alle rive di un comunismo interpretato palingeneticamente.”

Il divorzio dal mondo cattolico è reale, non totale. Le gerarchie, impegnate nella recezione del Concilio, sfidate dalla contestazione, mentre le vocazioni calano (le ordinazioni passano da 872 nel 1961 a 388 nel 1977) e crescono gli abbandoni dei preti, percepiscono un’Italia diversa: un paese secolarizzato e inquieto, dove il primato diventa comunicare la fede. Svanisce l’idea di un’Italia come nazione cattolica, mentre appare un paese da evangelizzare. Il segretario della CEI Bartoletti parla di “cristianità in dissoluzione”.

Per i vescovi, è prioritario ricomporre il mondo cattolico frammentato, contestativo e creativo. E’ l’idea del convegno sui mali di Roma voluto dal card. Poletti nel febbraio 1974, che riunisce i cattolici e mette sotto accusa la gestione democristiana della capitale. Un convegno ecclesiale contesta la DC! Il segretario Fanfani ammonisce Poletti: “ne parlerò in alto”. Ma il Vicario lo liquida ironicamente: “non so se arriverà”. Un cattolicesimo lacerato va ricomposto. E’ la funzione del convegno nazionale dei cattolici italiani del 1976 (dal titolo “Evangelizzazione e promozione umana”, che mette insieme l’autorità dei vescovi e l’assemblea, parola mitica quegli anni). Al gruppo sulla politica di quel convegno, guidato da Scoppola, discussero tra gli altri il reggiano don Camillo Ruini, che propose una DC come partito laico degasperiano e don Angelo Scola che richiamò all’inveramento dell’impegno politico nella fede, mentre fu criticata la DC.

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Ci sono vari percorsi nella Chiesa, nuove comunità, nate dopo il ’68, tra cui il Cammino neocatecumenale di Kiko Arguello, dalla Comunità di Sant’Egidio. Il pontificato di Paolo VI in Italia significa la fine delle misure critiche nei confronti dei focolari di Chiara Lubich, nati dalla seconda guerra mondiale. Comunione e Liberazione nata sotto l’impulso di don Giussani negli anni Cinquanta, a partire dal ’68 rappresenta un’alternativa al movimento studentesco. Con l’impegno nel referendum del 1974, matura visibilità nazionale e una presenza politica.

Come ricomporre le distanze? Il referendum sul divorzio del maggio 1974, voluto da Fanfani e Paolo VI, avrebbe dovuto compattare politicamente il blocco cattolico, ma diventa un confronto bipolare tra nuovo e vecchio, che rischia di confinare la DC nel vecchio nell’immaginario ormai marcato da uno spirito dei tempi, nuovista, sessantottino, radicale. Quel primo referendum, dopo che De Gasperi non aveva voluto schierare la DC su quello istituzionale, mette in sofferenza la postura centrale del partito. I cattolici si dividono sul referendum.

Moro sente arrivare una delegittimazione per un partito pur forte del potere: la DC é logorata –dice- anche da una stampa “unanime nel denigrare e dichiarar(la) decaduta dal trono”. Unità non è parola di moda come testimonianza e autenticità. Tramonta la cultura cattolica politica di sintesi emersa nel dopoguerra. Almeno per parte dei cattolici. La “rivoluzione cattolica” ha delegittimato la DC? Sarebbe semplicistico, ma dice qualcosa di vero. Peraltro la DC, per il voto degli elettori, resta decisiva nell’Italia politica degli anni Ottanta. Ma il mondo cattolico cerca per altre strade, vicine e lontane, con una sua un’iniziativa diretta nella società. Oltre la DC. Qualche volta contro.

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Eppure l’intimità con il mondo cattolico per la DC, in quegli anni forte e potente, è importante, perché il partito non è solo potere, ma cultura e ideali. Malgrado limiti e errori, questa politica democristiana ha bisogno di cultura e anima. Laicità non è autosufficienza. Aldo Moro è figura centrale nella sua paziente strategia di attenzione alla complessità esuberante del cattolicesimo. E’ presente in varie occasioni cattoliche, anche informali, curioso del nuovo. Aveva difeso l’autonomia laica della politica, ma non si rassegna a una freddezza cattolica. Lui, che per i comunicati delle BR era “il maggiore responsabile… della controrivoluzione armata scatenata dalla DC”, è un fucino, un maturo politico che negli anni Settanta frequenta le realtà giovanili cattoliche, quella di suo figlio Febbraio ’74, CL (al Palalido nel 1973) o si affaccia a Sant’Egidio.

I non lunghi anni della solidarietà nazionale, segnati dal terrorismo, mostrano come le forze che per trent’anni si erano combattute possono collaborare insieme a livello di governo. Non sono coabitazioni forzate, ma passaggi in cui prevale la responsabilità nazionale sulla creatività di parte. Così la sente Moro, appoggiato da Paolo VI, facendo prevalere una cultura di sintesi e collaborazione: “gli strumenti adoperati per risolvere le crisi che spesso ci lasciavano tanti margini, non servono più” –dice nel 1978.

Nel tragico momento dei funerali a San Giovanni, mentre l’Italia é scossa, attorno alla memoria dello statista assassinato, appare Giovanbattista Montini con l’autorità di papa, con la disperazione di uomo, ma anche con la passione civile e italiana che lo animava per vari decenni. Conferma che la Chiesa e i cattolici sostengono la democrazia italiana. Forse sempre meno attraverso la DC. Non bisogna certo più acquisire i cattolici alla democrazia come nel dopoguerra, ma la Chiesa mostra di sentire la causa della democrazia italiana minacciata dal terrorismo e dalla scomposizione come una sua causa.

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Dopo Moro, viene la morte di Paolo VI e l’elezione di un papa non italiano. Giovanni Paolo II non aveva intimità con la mediazione democristiana, voleva una ripresa di presenza evangelizzante e sociale. Insisteva però sul fatto che la fede si deve fare anche cultura. Il mondo cattolico procede con percorsi ecclesiali e sociali, senza più identificazione con il partito. Tante storie, sogni, realizzazioni. Dossetti, negli anni Novanta, scrive che la DC è ormai un irripetibile: “una volta in tutto l’orizzonte sidereo si è presentata un’occasione che non si presenterà mai più”.

Aveva ragione: mai le occasioni si ripetono. Ma le storie non si annullano. Oggi lo capiamo meglio fuori dal clima di damnatio memoriae degli anni Novanta, tipico di un’Italia che crede che le svolte debbano essere palingenetiche e traumatiche. Troppa cultura politica è stata bruciata in questi anni, magari per paura delle ideologie. Troppo la politica è stata solo emozioni, emotività, contrapposizione personale. Le emozioni sembrano coinvolgere, ma poi lasciano sola la gente nel quotidiano. Senza storia siamo perduti in questo mondo globale. Ritornare sulla storia democristiana non è l’ora della nostalgia, bensì la riaffermazione del valore di una cultura politica pensata, vissuta, confrontata con le altre. Ben ha scritto Giovagnoli: la cultura democristiana è un mondo di pensieri e esperienze tra Chiesa cattolica e identità italiana. Di questo patrimonio, Moro, nel suo ultimo discorso, dice come in un testamento: “Quello che è importante è preservare l’anima, la fisionomia, il patrimonio ideale della democrazia cristiana… Per questo io apprezzo tutti e dico a tutti: stiamo vicini”.

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