Elezioni subito? Sì, no, oppure forse

Berlusconi tenta l'ennesima furbata, ma il capo dello Stato lo blocca. E il Quirinale annuncia che il premier si dimetterà una volta approvata la legge di stabilità.

berlusconi letta e bossi
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9 Novembre 2011 - 00.37


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Silvio Berlusconi annuncia a Giorgio Napolitano che si dimetterà una volta approvata la legge di stabilità promessa all’Europa, ma chiede «elezioni subito». Il capo dello Stato, Costituzione alla mano, lo stoppa, non intende anticipare i tempi e vuole seguire l’iter previsto in caso di crisi: consultazioni e verifica di maggioranze alternative. In sostanza vuole avvalersi di tutte le prerogative che gli concede la Carta. In questo senso il comunicato diffuso dal Quirinale dopo il faccia a faccia con il presidente del Consiglio non lascia spazio a dubbi.

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Sulla strada delle urne, inoltre, si mettono di traverso anche le opposizioni: l’Udc di Pier Ferdinando Casini in particolare e Pier Luigi Bersani che, pur preferendo le urne, non potrebbe dire nò ad un governo di larghe intese, magari guidato da un tecnico come Mario Monti. Dopo lo schiaffo di Montecitorio, il capo del governo si riunisce con i vertici del Pdl e della Lega. Ripete che la strada maestra è quella del voto e sottolinea che in Parlamento nessuno ha la forza per sfiduciare la maggioranza. Per il resto Berlusconi ascolta le proposte e i suggerimenti di ministri e dirigenti. Più di qualcuno torna a suggerirgli la soluzione già prospettata qualche sera fa nell’interminabile vertice a palazzo Grazioli: annunciare le dimissioni, ma solo dopo il varo delle misure promesse all’Europa. Quando lascia la sede del governo per salire al Colle, l’impressione della maggior parte dei presenti è che non abbia alcuna intenzione di rimettere subito il mandato. Di fronte all’ipotesi prospettata da Napolitano di ritornare a Montecitorio per verificare se abbia o meno la fiducia del Parlamento, però, Berlusconi deve riconoscere di non avere più una maggioranza alla Camera. E così mette sul piatto l’escamotage studiato per tentare di sbarrare la strada a governi alternativi: dimettersi dopo il varo del pacchetto anti-crisi. Un modo per guadagnare tempo, ma che di fronte al pressing dei mercati e dell’Europa, il capo dello Stato non può non prendere il considerazione. In cambio, però, il Quirinale certifica gli impegni presi da Berlusconi, a cominciare dal quello di dimissioni formali.

Promessa formalizzata nella nota, nella quale si ribadisce che qualsiasi decisione sul dopo sarà presa al termine delle consultazioni, «dando massima attenzione alle posizioni di ogni forza politica», di maggioranza e di opposizione. Berlusconi, però, anticipa già la sua posizione: andare al voto quanto prima. E nel farlo lancia la candidatura di Angelino Alfano come possibile candidato premier del centrodestra. Indiscrezione che trova diverse conferme, ma che – secondo alcuni – potrebbe essere solo una mossa tattica. Ma il premier con i fedelissimi si sbilancia: voteremo a febbraio e Alfano sarà il nostro candidato. Sulla strada del voto, però, non mancano gli ostacoli.

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Perché se è chiaro che con il rinvio delle dimissioni il Cavaliere tenta di stoppare la formazione di governi alternativi, è altrettanto vero che non sono solo le opposizioni a dire no alle elezioni anticipate. A cominciare dalla Lega dove la posizione di Umberto Bossi – favorevole al voto subito – pare non coincida con quella di Roberto Maroni. Ma anche nel Pdl non mancano dubbi.
In tanti, anche per il timore di una ricandidatura del Cavaliere (oltre che per lasciare alle opposizioni l’onere di varare la manovra correttiva che l’Europa starebbe già chiedendo), ritengono infatti che sarebbe meglio un «passaggio all’opposizione» per riorganizzare il partito e consentire ad Angelino Alfano di rafforzarsi. Per non parlare di Claudio Scajola che, raccontano, abbia già detto a tutti di non volere andare alle elezioni. Infine ci sono i peones, terrorizzati dall’idea di essere lasciati a casa. Il fronte del no alle urne, dunque, potrebbe ingrossarsi sempre più.

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