Il Pdci e il sonno della ragione
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Il Pdci e il sonno della ragione

Un linguaggio da inizio Novecento, una rozza visione del mondo ferma a stereotipi incartapetoriti, una prosa accecata dall’odio: la politica estera di Diliberto&Co.

oliviero diliberto
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5 Novembre 2011 - 14.43


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Non è un compito da poco, ma bisogna trovare la forza di leggere questi ampi stralci dell’ordine del giorno approvato dal congresso del Pdci sulle rivolte in atto nel Mediterraneo. A voler essere benevoli si scoprirà che la famosa teoria del “2 pesi e 2 misure” tante volte usata (giustamente) contro gli Stati Uniti si può applicare benissimo anche al Pdci: un peso, favorevole, per le rivolte nei paesi con regimi sostenuti dagli Stati Uniti, un altro, negativo, per quelle nei paesi i cui regimi sono avversati dagli Stati Unti.

Ed ecco servito il comunismo solidale con Gheddafi e con Bashar Assad! Qui si ha il coraggio di capovolgere la realtà e dire che Assad ha aperto al multipartitismo ma gli insorti non hanno voluto sentire ragioni e hanno militarizzato il conflitto! E tutto questo viene detto mentre i carri armati sparano sulla folla…. Ma non basta, c’è anche il pieno sostegno al Pkk in Turchia! Sarebbe quella degli attentai del Pkk la strada maestra da seguire per garantire i diritti dei curdi!

Insomma, non vogliamo esagerare in commenti, basta dire che si rimane senza parole a leggere un testo del genere. Un linguaggio da inizio Novecento, una rozza visione del mondo ferma a stereotipi incartapetoriti, un prosa deprimente e accecata dall’odio, una indisponibilità assoluta a guardare e riconoscere le lotte di milioni di esseri umani che rivendicano i loro diritti. Se qualcuno dubita che certa sinistra non potrà mai fare i conti con la storia, perchè non ha la necessaria onestà intelletuale, beh rilegga questo documento. Da non perdere.

I Comunisti italiani guardano con estrema attenzione e interesse a quanto sta accadendo nei paesi della costa sud del Mediterraneo. Le rivolte in Tunisia e in Egitto, con la successiva caduta dei regimi di Ben Ali e di Mubarak, hanno generato speranze e aspettative in pezzi importanti di quelle società, specie fra le giovani generazioni. Aspettative che noi comunisti facciamo anche nostre.
Attese che con la fine di quei regimi – tanto vicini alle cancellerie dell’Occidente- hanno
prospettato in tutti noi la speranza di reali cambiamenti, non solo di classi politiche, ma anche di modello economico e sociale. Tutto questo non è facile, né scontato.

Stiamo, infatti, assistendo in queste settimane al tentativo di ripristinare antichi potentati economici e politici. Un tentativo che passa attraverso una “grande alleanza” fra forze liberiste, vecchi apparati e settori moderati di un Islam politico del tutto compatibile e alleato con il capitalismo internazionale e l’imperialismo neocoloniale. I recentissimi risultati delle elezioni in Tunisia ne sono conferma.

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Sicuramente esiste, soprattutto fra le giovani generazioni, anche una richiesta di democrazia e libertà. Ben sapendo però che i parametri per giudicare o no democratico un Paese non possono essere quelli spesso logorati e avviliti del nostro Occidente.

Esiste anche un terzo elemento: la volontà di liberarsi dalla stretta di un unipolarismo Usa che sfrutta e violenta da decenni quegli stati. Non è infatti un caso che le rivolte in Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, e quelle meno note in Giordania, Arabia saudita e Emirati, vedano messi in discussione proprio regimi da decenni strettamente alleati della casa Bianca e della Nato.
Assistiamo quindi con queste rivolte a una parte di quello scontro planetario per liberarsi dalla morsa di un capitalismo sempre più aggressivo e violento. A questo fine c’è stata anche una speculazione e una manipolazione di quelle rivolte avvenute anche attraverso la complicità di un sistema massmediale al servizio dei poteri forti.

E’ il caso della Libia, dove la Nato ha dichiarato guerra contro Gheddafi non per difendere la popolazione o per amor di libertà, bensì solo per mettere le mani e per saccheggiare le ricchezze di quel Paese. Ferma e senza tentennamenti è stata la nostra condanna contro l’intervento Nato, come oggi forte è la denuncia di una strisciante occupazione da parte delle truppe Nato di quel paese. E’ il caso della Siria, dove alle aperture del Presidente Bashar, avvenute sotto la spinta di legittime rivendicazioni di libertà e democrazia, e sostenute dalle lotte che hanno visto protagonista il Pc siriano (ricordiamo la fine dello stato di emergenza e l’apertura al multipartitismo), forze occulte e strumentalizzate da paesi esterni hanno risposto militarizzando lo scontro e chiudendo ogni porta al dialogo. Queste forze vogliono una Siria diversa, meno indipendente, omologata al pensiero unico del Pentagono. Noi, al contrario, auspichiamo una Siria democratica, indipendente, anticapitalista, padrona delle proprie risorse e del proprio futuro.

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Guardiamo con interesse alla proposta che i compagni del Pkk stanno avanzando alla Turchia dove si prevede per la regione Kurda una ampia autonomia.

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