L’infanzia dimenticata: declino demografico, guerre e crisi globale minacciano i bambini tra sofferenza e sfruttamento
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L’infanzia dimenticata: declino demografico, guerre e crisi globale minacciano i bambini tra sofferenza e sfruttamento

Il tempo presente è forse uno di quelli più difficili per milioni di bambini. In Occidente sembra scomparsa l’idea di infanzia, affermatasi nel XVII secolo grazie a studiosi come Rousseau e Ariès.

L’infanzia dimenticata: declino demografico, guerre e crisi globale minacciano i bambini tra sofferenza e sfruttamento
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5 Marzo 2025 - 10.38


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di Dario Spagnuolo

Il tempo presente è forse uno di quelli più difficili per milioni di bambini. In Occidente sembra scomparsa l’idea di infanzia, affermatasi nel XVII secolo grazie a studiosi come Rousseau e Ariès. Se ne parla sempre meno, e sempre meno ci si interroga sui bisogni di chi attraversa questa fase della vita. I bambini non piacciono più e, per molti adulti, l’obiettivo sembra quello di giungere a vivere una serena vecchiaia, senza nessuno che possa disturbarti. Ma se il concetto di infanzia scompare in Occidente, è difficile che possa affermarsi in paesi dove, da sempre, i bambini sono considerati esclusivamente uomini e donne in miniatura, con il vantaggio di poterli manipolare e condizionare facilmente. 

Nei paesi ricchi, il declino demografico è accettato con relativa serenità, nonostante intere generazioni siano destinate a farne le spese. Popoli sempre più anziani innalzano muri e contrastano con ogni mezzo l’arrivo di popolazioni più giovani, provenienti dalle aree di crisi.

Le previsioni dei demografi, confermate in sede comunitaria, prevedono che nella sola Unione europea nei prossimi 25 anni la popolazione diminuirà di quasi 50 milioni di persone: scomparirà, insomma, l’intera popolazione di un paese come la Spagna. Contemporaneamente, l’età media continuerà ad aumentare, raggiungendo i 49 anni, e la popolazione anziana aumenterà del 10%, raggiungendo il 30% del totale, con un picco di ultraottantenni.

Gran parte dell’Europa si avvia ad essere un continente di anziani, e senza un’adeguata politica immigratoria il declino dell’economia e la radicale trasformazione dei consumi sono una certezza. Si tratta di processi che rischiano di alimentarsi reciprocamente, determinando, in aggiunta la desertificazione di intere aree del vecchio continente.

Non va meglio in Asia, dove la Corea del Sud ha il tasso di fertilità più basso del mondo (0,72), la natalità decresce ad un ritmo spaventoso mentre il tasso di suicidi è secondo solo alla Groenlandia. Il Giappone, intanto, resta il paese più anziano del pianeta: non solo diminuiscono i bambini, ma le relazioni sono talmente rarefatte che uomini e donne nemmeno si incontrano più. I giovani preferiscono utilizzare App, chiamate Otome, che consentono di simulare relazioni sentimentali rigorosamente a distanza.

Persino la Cina, dopo decenni di politiche di controllo delle nascite, ha iniziato a intraprendere azioni a favore della natalità perché l’invecchiamento della popolazione rallenta la crescita del PIL e danneggia le industrie.

Insomma nei paesi sviluppati, quelli dove arriva il consumismo, la popolazione invecchia e la natalità si arresta.

Nei paesi poveri, invece, la cooperazione langue. I grandi programmi di scolarizzazione e cura dei bambini appartengono al passato. Resiste solo la cooperazione economica, agita per lo più dalle grandi imprese multinazionali con l’aiuto di vari governi.

Aumentano, invece, i conflitti. Nel 2024 se ne contavano 56 con il coinvolgimento di oltre 90 paesi, ovvero quasi la metà degli Stati esistenti: è il massimo numero di guerre mai raggiunto da dopo la Seconda Guerra Mondiale. Con la guerra, poi, accelera in modo preoccupante la corsa agli armamenti, con il corollario che più armi ci  sono in giro, più è probabile che siano utilizzate.

La maggior parte delle vittime sono tra la popolazione civile più vulnerabile, soprattutto bambini. Secondo l’UNICEF sono 473 milioni i bambini che vivono nelle zone di conflitto e il calcolo non tiene conto, ad esempio, del riaccendersi degli scontri a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, proprio all’inizio del 2025. I numeri sono spaventosi e raccontano di un continente di bambini che soffre: cento milioni di bambini “di strada”, quaranta milioni di bambini sfollati a causa delle guerre, centosessanta milioni di bambini ridotti in schiavitù, sfruttati sessualmente o costretti a lavorare. Sono oltre cinquanta milioni, ancora, i bambini che hanno smesso di andare a scuola a causa della guerra e quasi altrettanti quelli che non hanno potuto vaccinarsi e rischieranno di morire per le epidemie.

Complessivamente, nel 2024 ci sono state oltre 61.000 vittime di guerra tra cui migliaia di bambini. Le cifre, rispetto al 2023, sono in consistente aumento. Ma il 2023 aveva già segnato il picco record, partendo dalla fine della seconda guerra mondiale.

Solo considerando queste cifre si supera la popolazione degli USA. In pratica, nel mondo un bambino su quattro vive in una condizione di disagio, è a rischio della vita o ha subito violenza.

Ci sono, infine, anche i numeri più incerti, come le migliaia di bambini soldato, il cui addestramento inizia spesso costringendoli ad uccidere i propri genitori e, ancora, i milioni di bambini mai registrati all’anagrafe. Questi ultimi sono gli “invisibili”, bambini che possono tranquillamente essere venduti come schiavi o per il commercio di organi, perché senza iscrizione anagrafica ogni scomparso non lascia traccia. Si tratta di un problema sottovalutato per il quale la Comunità di Sant’Egidio ha da tempo varato il programma BRAVO “Birth Registration for All versus Oblivion” che rischia di essere gravemente ostacolato dal moltiplicarsi dei conflitti e delle guerre.

Dei bambini, però, non si è dimenticata la Chiesa, come ha dimostrato la partecipazione di Papa Francesco al Summit Internazionale per i Diritti dei Bambini. D’altronde, l’istituzione della giornata mondiale dei bambini ha dimostrato la particolare attenzione di Papa Francesco al mondo dell’infanzia. Al Summit, tenutosi a Città del Vaticano, è risuonato anche l’appello di Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio, che ha invocato un rilancio dell’impegno per la scolarizzazione dei 250 milioni di bambini per i quali non esiste scuola.

La speranza è che lo sguardo torni a posarsi sui bambini e sull’infanzia perché, a ben vedere, anche nel linguaggio di quelli che si definiscono paesi sviluppati le parole “bambini” e “infanzia” sono divenute rare. Si parla di minori, riferendosi alla loro potenziale impunità e alla condizione giuridica, e poi di NEET, di devianti, di alunni, i cui risultati sono sempre insoddisfacenti agli occhi di un mondo adulto che li giudica con la misura stretta della “performance”.

E tuttavia, se si trovasse il coraggio di guardare alla sofferenza di milioni di bambini forse, come successo altre volte in passato, si compierebbero scelte migliori.

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