Arrestato per omicidio il titolare dell'azienda di Satnam Singh: "Condotta disumana"

Antonello Lovato, il titolare dell'azienda di Latina dove è morto il bracciante indiano Satnam Singh lo scorso 19 giugno, è stato arrestato. L'accusa è quella di omicidio doloso con dolo eventuale.

Arrestato per omicidio il titolare dell'azienda di Satnam Singh: "Condotta disumana"
Satnam Singh e Antonello Lovato
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2 Luglio 2024 - 20.10


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Una condotta «disumana» verso una persona che «poteva essere salvata» se solo fossero stati allertati tempestivamente i soccorsi. È l’agghiacciante ricostruzione che il gip di Latina fa delle ultime ore di vita di Satnam Singh, il bracciante indiano morto dopo essere rimasto gravemente ferito in un campo di raccolta a Cisterna di Latina il 17 giugno scorso.

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Una vicenda per la quale è da martedì in carcere con l’accusa di omicidio doloso Antonello Lovato, il titolare dell’azienda per la quale lavorava il 31enne. La svolta nelle indagini della Procura di Latina è arrivata al termine dell’attività istruttoria e anche alla luce dei risultati delle consulenze mediche disposte dai pm. Gli specialisti hanno infatti accertato che la vittima è morto a causa di uno shock emorragico, dopo l’amputazione del braccio finito nell’avvolgitelo.

«Fosse stato tempestivamente soccorso – hanno messo nero su bianco i pubblici ministeri – l’uomo si sarebbe con ogni probabilità salvato». E proprio sulla scorta di questi elementi il reato inizialmente contestato, quello di omicidio colposo, è stato aggravato dai magistrati in omicidio doloso con dolo eventuale.

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I tasselli messi in fila dagli inquirenti portano ad una conclusione: le condizioni del lavoratore dopo l’incidente erano talmente gravi da rendere «evidente la necessità di un tempestivo soccorso». Per chi indaga, la decisione di Lovato di non chiamare i soccorsi rappresenta dunque una «accettazione del rischio dell’evento letale». Un comportamento, secondo l’impianto accusatorio, legato al fatto che l’indagato aveva paura che venissero alla luce «le condizioni di irregolarità e sfruttamento» nelle quali si trovava Satnam e «la gravissima situazione di irregolarità dell’azienda, anche sotto il profilo della sicurezza». Un quadro probatorio solido e che ha portato il gip ad emettere l’ordinanza cautelare eseguita poi dai carabinieri.

Lovato poteva «reiterare» la condotta illecita, secondo il giudice che non risparmia parole durissime verso l’indagato. «Prescindendo da valutazioni etiche (irrilevanti per il diritto penale) – scrive il gip Giuseppe Molfese – che pure si imporrebbero a fronte di una condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà, non può sottacerti che l’indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire». Nell’ordinanza il giudice ricostruisce quanto avvenuto due settimane fa a Cisterna. Per il gip, «Lovato carica il corpo nel furgone e l’arto amputato e, sempre il Lovato, abbandona il corpo e l’arto a via Genova, dandosi alla fuga». Per il tribunale di Latina è di tutta evidenza la circostanza per la quale l’indagato non voleva la morte del suo bracciante indiano, «ma per la condotta posta in essere e le lucide modalità operative – è detto nell’ordinanza – ha ragionevolmente previsto il probabile decesso del Satnam, accettando consapevolmente il rischio». I comportamenti successivi all’abbandono del corpo «argomentano e caratterizzano univocamente la condotta omicidiaria – scrive il gip -, proprio nei termini descrittivi del dolo eventuale». E ancora: pur «di nascondere e dissimulare la realtà, con condotta intenzionale, ha posto in essere tutti gli accorgimenti descritti, anche a costo di concretizzare l’evento mortale che, progressivamente, si poneva dinanzi a lui», aggiunge il gip.

Dagli atti dei pm emergono anche le parole della moglie della vittima, Soni Soni, che era con lui quel tragico giorno. «Lovato gridava `è morto, è morto´ – racconta la donna agli inquirenti -. Solo dopo aver insistito nelle mie richieste ha preso un furgone, ha caricato mio marito e ci ha portati a casa». Parole a cui il datore di lavoro prova a rispondere sostenendo di non avere chiamato l’ambulanza «perché la moglie mi diceva di portarlo alla loro abitazione, ero preso dal panico». Chi indaga chiede, poi, a Lovato perché ha deciso di lavare il furgone dopo il drammatico trasporto. «L’ho lavato perché c’era del sangue ed ero sotto shock. Lui non era regolarmente assunto, lo chiamavo al bisogno», aggiunge impassibile.

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