di Gabriele Simonelli
Voglio tornare sulla ‘scivolata’ del sindaco di Tivoli non per pura polemica ma perché, a mio giudizio, chi guida i comuni non può essere totalmente estraneo a ciò che accade nel mondo, soprattutto in momenti di terza guerra mondiale a pezzi, come dice Papa Francesco.
Sotto elezioni ci siamo chiesti un po’ tutti quali fossero le priorità più sentite dai cittadini della superba: tutti, chi con più piglio chi più sommessamente, ha provato ad interpretare i sentimenti più profondi dei tiburtini. Qualcuno ha pensato che per scuotere gli animi bisognasse parlare di viabilità, qualcun altro che magari invece la sanità era il ero tema, quello a cui appigliarsi per vincere le elezioni. Altri hanno provato a shackerare il loro personale mix sperando di incontrare i gusti dei palati più esigenti.
Ma alla fine ci siamo sbagliati tutti: la vera priorità di Tivoli ce l’ ha indicata il Sindaco appena eletto: la guerra.
Nessuno ha avuto la creatività istrionica di pensare che è la guerra quello che vuole veramente il popolo. O meglio, negli ultimi settanta anni in Europa non ci aveva pensato più nessuno, quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare : grande intuito del sindaco, ma la sceneggiatura è ricopiata.
Il primo atto della nuova amministrazione è stato riportare al decoro originario palazzo san Bernardino: evidentemente lo striscione ” cessate il fuoco” cozzava troppo con lo spirito austero che si addice ad una casa comunale.
Peccato che quella frase, così semplice e così dirompente, sia stata vergata e diffusa in tutto il mondo da un Istituzione che non ha il vezzo di occuparsi di frivolezze: il tribunale internazionale dell’ Aja.
Forse al comune, abituati a ricorsi al tar e a contenziosi di bottega, non sanno che esiste anche una corte penale internazionale, che ha intimato, appunto, il cessate il fuoco ad Israele, nello specifico ha ordinato di bloccare le ostilità a Rafah.
Tralasciamo per un attimo il lato surreale della vicenda, e proviamo veramente a capire cosa potrebbe esserci in gioco per la nostra comunità.
Per fortuna il comune di Tivoli non ha il dottor stranamore dalla sua, e quindi non può muovere guerra a nessuno.
Ma che significa per Tivoli dare il messaggio che non siamo una città di pace?
Si potrebbe ribattere che essere per la pace non ha bisogno di molte spiegazioni, o di un utilità particolare, ma proviamo a ragionarci lo stesso.
Negli ultimi mesi, insieme con Gianni Cipriani sono stato tra i promotori del ciclo di conferenze “Tivoli città della pace e del dialogo” che ora è diventato il progetto di un Centro studi Internazionale. Iniziative portate avanti in collaborazione con l’ Anpi, l’ associazione Gobetti, Tivoli Globalist.
Perché siamo per pace tout court? Certo, come potremmo non esserlo se ci diciamo umani. Ma oltre a questo c’ è anche una ragione diversa: Tivoli è una città di cultura, una città turistica, e la pace non è solo un valore politico e umano, è anche un biglietto da visita internazionale.
Quando è venuta l’ ambasciatrice palestinese a Tivoli, o quando è venuto Patrick Zaki o l’arcivescovo Vincenzo Paglia (e quando ne verranno altri), il nostro obiettivo non era solo quello di fare delle iniziative estemporanee, ma quello di costruire un percorso che portasse Tivoli ad essere un polo attrattore per accademici, artisti, ecclesiastici che si occupano a tutti i livelli di promuovere la pace e il dialogo.
Questo significa collegare lo sviluppo culturale ed economico della nostra città ad una mission più alta, ma che ha anche delle ricadute terrene sul territorio, in termini di sviluppo e di costruzione di un’ immagine accogliente ed aperta verso mondi che nella nostra città possono investire.
Noi continueremo la nostra battaglia, certo se il segnale che arriva dalla nuova amministrazione è questo sarà difficile riuscire nell’ impresa, speriamo di essere ancora in tempo per cambiare il finale del copione.
Vorrei che su questo terreno sia il Pd che le altre forze progressiste e costituzionali della città siano parte attiva. Come le forze culturali e sociali. Mi impegnerò anche per questo.