Non fa sparate social. Non veste i panni da capitan Fracassa del Papeete. Lo stile è diverso. Ma la sostanza non varia. Guerra alle Ong era, guerra alle Ong torna ad essere. Da Matteo (Salvini) a Matteo (Piantedosi).
Viminale con l’elmetto
Narrano le cronache che il neo ministro Matteo Piantedosi ha riunito ieri il primo Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica e ha istituito un “tavolo ristretto”, che sulla base dell’aumento degli arrivi nel 2022 – l’incremento è del 50% – interpreterà gli scenari degli ultimi mesi e fornirà le indicazioni operative. La nuova linea del Viminale sul tema degli sbarchi, manco a dirlo, sarà quella invocata da Matteo Salvini. E anzi, ieri Piantedosi ha rivendicato il suo primo atto, la direttiva nei confronti delle navi delle Ong, citando proprio i decreti sicurezza del governo Conte I. “Abbiamo applicato la legge – dice – i famosi decreti sicurezza rivisitati ma che sono rimasti sostanzialmente nel loro impianto”. Un atto che potrebbe essere seguito da altri provvedimenti: le soluzioni allo studio degli uffici legislativi potrebbero poi essere inserite in un testo da presentare in Consiglio dei ministri che potrebbe in parte ricalcare quanto già disposto tre anni fa dal governo gialloverde, quando all’epoca al dicastero c’era l’attuale ministro delle Infrastrutture. Una lettura che lo stesso Piantedosi ha rivendicato in serata, ospite di Porta a porta: “I migranti – ha detto sono saliti a bordo delle navi delle Ong in acque internazionali e secondo il codice della navigazione la giurisdizione è dello Stato di bandiera”. “Paesi di bandiera” in questo caso sono Germania e Norvegia che, secondo il ministro “sono competenti all’assistenza e quindi ad accoglierli. Glielo abbiamo fatto presente e aspettiamo la risposta di questi due paesi. Siamo in una fase di attesa”. Ma mentre il nuovo ministero degli Interni ingaggia il primo duello, la situazione di Lampedusa non cambia: a fronte dei continui sbarchi l’hotspot ha raggiunto nuovamente gli oltre mille ospiti. In queste ore si stanno predisponendo trasferimenti di centinaia di persone. E si allunga anche la lista di chi non ce l’ha fatta: le motovedette delle Capitanerie di Porto hanno ripescato a diverse miglia di distanza dalla costa dell’isola il sesto corpo negli ultimi tre giorni mentre al largo un barcone di otto metri è affondato provocando almeno un morto e un disperso (31 invece i sopravvissuti). Una situazione contro la quale, dice il deputato di Sinistra Italiana Aboubakar Soumahoro, “bisogna agire”. Per questo, l’ex sindacalista dei braccianti di Foggia, invita “tutti i parlamentari dell’opposizione ad andare sulle navi che salvano gli esseri umani”. Bisogna “far valere i principi di umanità” nel momento in cui “alcuni ministri si apprestano a tenere sospese vite umane in mare”.
Globalist monitorerà le risposte. E i silenzi.
L’emergenza dunque resta la stessa, nonostante il cambio di Governo, così come resta la richiesta all’Europa affinché chi sbarca in Italia venga ripartito in tutti i paesi dell’Unione. Durante il Comitato, il ministro Piantedosi ha annunciato di fatto che chiederà nuovi accordi sia con l’Unione che con i Paesi di origine e transito. Per il numero uno del Viminale i flussi vanno però governati anche attraverso il rafforzamento dei canali di ingresso legali tenendo conto, per le quote, anche di un distinguo tra quei Paesi come l’Italia che più di tutti sono impegnati nel contrasto all’immigrazione illegale. Riemerge dunque il tema di nuovi provvedimenti sui corridoi umanitari e flussi regolari, che ogni anno permettono legalmente l’arrivo di decine di migliaia di persone: un modo per sottrarre i migranti allo sfruttamento della criminalità e che già in passato ha risposto alle esigenze di chi richiedeva manodopera specializzata.
Resta sul tavolo il braccio di ferro con le navi umanitarie. In 382 viaggiano sulla Ocean Viking e sulla Humanity One, le due navi umanitarie oggetto della direttiva Piantedosi. La seconda è in acque internazionali al largo della Sicilia con 180 a bordo: “Noi agiamo secondo il diritto internazionale, ora chiediamo anche alle autorità di rispettare il diritto internazionale e di assegnarci un porto sicuro il prima possibile”, ribadiscono gli attivisti. In queste ore sono giunti 245 migranti a Lampedusa su sei barchini individuati da Guardia costiera e Guardia di Finanza. Sono invece quasi mille i migranti sbarcati a Crotone in meno di 24 ore, compreso l’arrivo di 650 naufraghi soccorsi nel mare di Sicilia dal pattugliatore della Capitaneria di porto Diciotti. Numeri che si aggiungono ai 79.647 migranti giunti finora da gennaio (su 2.044 sbarchi) con un incremento del 50,78% rispetto allo stesso periodo del 2021. I paesi di partenza principali restano Libia (+75,83%), Tunisia (+25,96%) e Turchia (+43,02%).
E sui migranti, torna a tuonare, e come poteva essere altrimenti, Matteo Salvini, vicepremier e ministro alle Infrastrutture. E sui social scrive: “Messaggio per i trafficanti di esseri umani e per i loro complici: come da programma elettorale del centrodestra, l’Italia non tollererà più il business dell’immigrazione clandestina e degli sbarchi fuori controllo. Le Ong straniere si regolino di conseguenza…”. A corredo del post, Salvini pubblica un cartello con scritto “Altro che in Italia, le Ong vadano nei loro paesi!”. Poi i nomi delle due navi in avvicinamento (Ocean Viking e Humaniti 1) e il numero di migranti a bordo (202 e 180).
Sindaco coraggioso
E’ Roberto Ammatura, sindaco di Pozzallo. Che in una bella intervista di Alessia Candito di Repubblica, afferma: “Alle ong bisognerebbe dire solo grazie. Tra vent’anni ci guarderemo indietro e inorridiremo: si condanna chi salva vite e si sostiene chi le minaccia”. Scrive Candito: “Medico di professione, sindaco per missione, Roberto Ammatuna era alla guida del Comune di Pozzallo, fra i principali porti che in Sicilia accolgono i migranti salvati dai naufragi, anche negli anni in cui Matteo Salvini sedeva al Viminale. E adesso che da ministro delle Infrastrutture il leader della Lega punta a far pesare la delega su porti e Capitanerie per dire la propria sul delicato dossier immigrazione, il primo cittadino non nasconde la preoccupazione. “Significherebbe portare indietro le lancette dell’orologio a quando il tema dell’immigrazione veniva affrontato con assoluta irresponsabilità, dimenticando che si tratta di gente che scappa da guerre, fame, torture”.
Quanto all’operato del neo titolare del Viminale, il sindaco annota: “Le sue prime mosse mi lasciano molto perplesso. Il timore è che l’input politico ricevuto dal governo pesi di più del pragmatismo da prefetto dimostrato in passato…[…].Non si possono condannare le ong. Con il loro impegno suppliscono all’inciviltà dei cosiddetti Stati civilizzati. Ci dovrebbe essere una missione europea di ricerca e soccorso in mare. Ma non esiste da anni e si sta criminalizzando chi supplisce a questa mancanza”.
Atto di terrorismo internazionale
E’ il famigerato Memorandum d’intesa Italia-Libia. Globalist ne ha scritto più e più volte, segnalando anche report particolarmente documentati. Come quello di Silvia Andreozzi su l’Espresso: “«Non un memorandum, ma un atto di terrorismo internazionale». L’accordo siglato tra Italia e Libia nel 2017 viene così definito da Yambio David Oliver, attivista che ha guidato la protesta che si è tenuta tra ottobre 2021 e gennaio 2022 a Tripoli. Venticinque anni, da quattro mesi in Italia, la voce fiera di Yambio si somma a quella di 40 associazioni, tra cui Arci, Amnesty International, Open Arms, che chiedono al governo di annullare il Memorandum tra Italia e Libia promosso cinque anni fa da Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo Gentiloni. C’è tempo fino al 2 novembre. Se entro quella data l’esecutivo non dovesse prendere iniziative, l’accordo, per la seconda volta, si rinnoverà automaticamente il 2 febbraio 2023 e sarà effettivo per altri tre anni.Tre anni durante i quali l’Italia continuerà a finanziare la guardia costiera libica, le fornirà materiali e provvederà alla formazione dei suoi componenti. Come non ha mai smesso di fare. Solo pochi giorni fa sono state inviate 14 imbarcazioni veloci per intercettare migranti, una commessa aggiudicata per 6 milioni e mezzo di euro. Sempre in virtù del Memorandum, una nave italiana continuerà a stazionare nel porto di Tripoli e a dirigere quelle che la versione ufficiale definisce come “operazioni di salvataggio”.
Dal 2017 a oggi sono oltre 85mila le persone – donne, uomini, bambini – che, intercettate in mare dalla guardia costiera libica, sono state riportate a Tripoli. Respinti «per conto dell’Italia ma non in suo nome», dice Matteo De Bellis di Amnesty International intervenendo alla conferenza stampa indetta dalle associazioni che chiedono l’interruzione del Memorandum.
Un modo per raggirare la sentenza Hirsi con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo dichiarò illegittimi i respingimenti operati dall’Italia nel Mediterraneo durante il 2009. C’è un elemento, infatti, che nel diritto internazionale definisce un salvataggio in mare, ed è il fatto che questo si concluda con l’approdo in un porto sicuro.
Difficile, però, poter considerare tale la Libia. De Bellis spiega che gli «ultimi rapporti di Amnesty International mostrano come le persone riportate in Libia con l’aiuto dell’Italia vengano sottoposte a violazioni e abusi di ogni tipo, tra cui uccisioni, torture e altri maltrattamenti. Detenzioni arbitrarie a tempo indefinito, lavori forzati, estorsioni e sfruttamento. La lista di violazioni è documentata sistematicamente. In Libia, poi, le persone non hanno possibilità di chiedere protezione internazionale. Ci troviamo di fronte a una situazione nella quale nonostante gli abusi, Stati e istituzioni europee continuano a supportare economicamente Tripoli. Sono politiche per le quali non deve sfuggire la responsabilità dell’Italia».
Non è solo nelle persone che vengono riportate in Libia il segno delle conseguenze del Memorandum firmato da Gentiloni e mai messo in discussione dai successivi governi. Contemporaneamente alla definizione di un’area di intervento della guardia costiera libica si è assistito a una sempre maggiore difficoltà di operare da parte delle organizzazioni umanitarie di salvataggio. Chiara Denaro di Alarm Phone, un gruppo di volontari che gestisce un contatto di emergenza di supporto per le operazioni di recupero, racconta della prima volta in cui, nel 2017, la guardia costiera italiana rispose a una loro segnalazione dicendo di rivolgersi agli omologhi libici.
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