L’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, ha scritto una lettera a “quei preti che, in certi territori dove l’unica legge sembra essere quella della sopraffazione e della violenza, hanno fatto delle loro parrocchie avamposti credibili e autorevoli in difesa della dignità umana”.
“Conosco una storia nascosta e silenziosa, per nulla appariscente, poco visibile agli occhi degli uomini e ai riflettori delle telecamere. È la storia minima e tenace, discreta e coraggiosa di una Chiesa che quotidianamente la camorra la guarda in faccia, dritta negli occhi e senza piegare la schiena”: questo l’incipit della lettera, che prosegue: “Preti che dinanzi alla cappa omertosa della sovranità mafiosa non arretrano neanche di un centimetro e propongono in alternativa la logica “eversiva” di spazi comuni da recuperare alla bellezza dello stare insieme, perché la tendenza all’isolamento alimentata dalla paura della camorra si vince solo con il gusto della condivisione e del fare comunità. Preti che si sentono chiamare “sbirri” perché con franchezza e “parresia” non hanno timore a ricordare che la denuncia è l’altra faccia dell’annuncio”.
“Queste storie silenziose e anonime – è il monito di Battaglia – non attenuano per nulla la chiassosa responsabilità per i silenzi di non pochi uomini di Chiesa dinanzi all’arroganza e alla prepotenza della camorra. Non voglio negare l’imbarazzante tentativo di un certo pensiero ecclesiastico di sminuire e minimizzare questo problema con la solita affermazione che l’evangelizzazione non può appiattirsi sulla lotta alla mafia, e lungi da me il tentativo di proporre i santini dei preti impegnati, o addirittura di chi ci ha rimesso la vita come don Peppe Diana, come paraventi insanguinati da mostrare all’occorrenza”.
“In coscienza, però, sento semplicemente il dovere – prosegue – di restituire merito e onore a quei preti e religiosi che in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il vangelo del “si si, no no”: quel vangelo che non ti fa scendere a patti con nessuno, che ti fa essere di parte perché hai scelto di schierarti con i più deboli rivendicando per loro quei sacrosanti diritti che i mafiosi e i potenti trasformano invece in favori da chiedere in elemosina, quel vangelo che ti invita a sporcarti le mani perché se sogni un mondo giusto e una società libera dalle mafie quelle mani non puoi tenerle in tasca. E io di preti con le mani sporche di vangelo ne conosco tanti”.
A questi parroci, Battaglia chiede anche di “spronarmi se doveste accorgervi di una mia eccessiva prudenza dinanzi alle lacrime innocenti della prepotenza mafiosa e di trasmettermi la vostra “parresia” se anche io talvolta dovessi girarmi dall’altra parte”. L’arcivescovo ringrazia chi spiega “a tutti coloro che incontrano nella propria chiesa e per le strade del quartiere che è possibile vivere una vita bella nella sequela del Signore, perché il camminare dietro a lui conduce alla vita, a differenza della camorra che è un cammino di morte, di tenebre”.