Quarantacinque anni fa il Friuli tremò: era la sera del 6 maggio 1976, mille vite spezzate

La scossa di magnitudo 6.5 durata quasi un minuto causò mille morti e tremila feriti

Il terremoto del Friuli nel 1976
Il terremoto del Friuli nel 1976
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6 Maggio 2021 - 09.59


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Come per ogni sisma ci fu paura e distruzione. Ma da lì si ripartì per una nuova anche se drammatica ricostruzione.

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In 59 secondi tutto venne giù. Intorno non c’erano più case ed edifici, ma solo polvere e devastazione.

Era la sera del 6 maggio 1976: alle 21 una scossa di terremoto di magnitudo 6.5 fece tremare il Friuli provocando ingenti danni e crolli.

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Circa mille i morti, 3 mila i feriti. Un ‘Orcolat’ (Orco), come lo definisce in dialetto la gente del posto, che 45 anni fa mise in ginocchio parte della regione.

La sera del 6 maggio 1976 in Friuli faceva un insolito caldo soffocante, era il preambolo di quello che sarebbe avvenuto poco dopo le 21 – ma nessuno poteva sospettarlo – quando la terra tremò e in pochi secondi un mondo intero, una cultura, una comunità crollarono.

Qualcuno pensò a un bombardamento, qualcun altro a polveriere saltate in aria, poi le comunicazioni si interruppero, e a dialogare con i ‘presenti sui posti’ furono solo i radioamatori.

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Fu in quelle conversazioni che si utilizzò quel sostantivo: “Qui è tutto un polverone, si sentono grida in lontananza… non capiamo, forse c’è stato un terremoto”, dissero gli autotrasportatori che passavano per Venzone, Gemona, Osoppo: si era risvegliato l’Orcolat, in dialetto friulano ‘orco’, sinonimo di terremoto.

Fu necessario attendere l’alba per capire le proporzioni del sisma e rendersi conto che dovunque erano crollate case, dovunque c’erano morti. E subito cominciò la solidarietà.

A centinaia i giovani friulani partirono per i luoghi colpiti nel tentativo di salvare qualche vita umana. Si formarono squadre coordinate dai sindaci, dai Vigili del fuoco e dagli alpini della Julia.

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Nei paesi più segnati dalle scosse furono salvate vite umane, grazie al lavoro – a mani nude – di tantissimi volontari. Fu immediatamente avviata l’opera di smassamento di quello che restava delle case, dei fienili, delle stalle.

Il giorno dopo lo Stato arrivò con Giuseppe Zamberletti, subito nominato commissario straordinario dal presidente del Consiglio Aldo Moro.

Sul campo rimasero quasi mille morti e un terzo della regione Friuli Venezia Giulia devastato. Ma il colpo di grazia arrivò con le scosse di settembre che completarono la distruzione e obbligarono Stato e Regione a pensare di trasportare bambini, giovani e anziani lontano da quelle zone per trasferirli verso Sud, nelle località marine di Grado, Lignano, Bibione e Caorle dove ricostruire le comunità; per gli ‘attivi’ furono invece requisite migliaia di roulotte in giro per l’Italia e le si concentrò nei paesi più colpiti per garantire almeno un minimo il lavoro nelle fabbriche non distrutte.

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Il motto di allora, che diventò vero proclama politico- istituzionale, fu ‘prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese’: una scelta comune fatta propria anche dalla curia udinese. Bisognava garantire il lavoro ai residenti, mettere in salvo i nuclei familiari e poi pensare alla ricostruzione che si voleva “dov’era e com’era”. Fu un’azione corale straordinaria.

Lo Stato delegò la Regione – con il coordinamento del Commissario straordinario – mentre questa, forte anche della sua autonomia, delegò ai comuni. I sindaci, per la prima volta nella storia d’Italia, divennero protagonisti del futuro delle loro comunità. Era, in nuce, la moderna Protezione civile.

Tutto fu possibile grazie alla solidarietà nazionale e anche a quella internazionale essendo i friulani ‘lontani dalla Piccola Patria’ ben più numerosi dei residenti. Aiuti arrivarono subito da Stati Uniti, Argentina, Australia e da tantissimi Paesi europei.

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Dopo 45 anni da quei tragici giorni, a ricostruzione completata, si stima che il tutto sia costato circa 13 miliardi di euro, cifra non particolarmente alta considerate altre esperienze analoghe.

Oggi tutto è a posto: i paesi sono stati tutti ricostruiti più belli di prima. L’Orcolat sicuramente non farebbe quella strage visti i sistemi antisismici di ricostruzione e se, pur nelle difficoltà della crisi, oggi si può parlare di popolo friulano, lo si deve anche a quella straordinaria opera che è stata la ricostruzione del Friuli.

 

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