Ministra Lamorgese, prima che il “bullo” di Rignano finisca di sfasciare Governo di cui Lei fa parte, compia un gesto di umanità che lascerebbe il segno e caratterizzerebbe in maniera profondamente umana, termine che ha una immensa valenza politica soprattutto di questi tempi, la sua esperienza a capo del Viminale. Non è impresa impossibile, né a bisogno di chissà quali risorse economiche. Certo, non rientra nelle richieste del capo di Italia Viva, a lui interessa il ponte dello Stretto, ma questo semmai è un merito. Cosa fare? Semplice. Dia ascolto, e attuazione, all’appello pubblico che le è stato rivolto dalle associazioni, Ong, singoli cittadini che fanno parte di quel mondo solidale che pratica, e non predica, la solidarietà verso i più indifesi tra gli indifesi: coloro che, a migliaia, fuggono da guerre, pulizie etniche, stupri di massa, sfruttamento disumano, povertà assoluta, disastri ambientali, molti dei quali finiscono respinti nei lager libici in mano ai trafficanti di esseri umani, o finiscono seppelliti in fosse comuni nel deserto del Sahel o in fondo al Mediterraneo.
E visto che c’è, provi a risolvere il “giallo Matig”.
Una richiesta da accogliere
Nella lettera aperta, si afferma, tra l’altro: “ Sappiamo che il Suo Ministero da sei mesi sta lavorando all’attivazione di un bellissimo progetto per 5 voli di evacuazione dalla Libia verso l’Italia… Sappiamo che ogni progetto ha il suo iter, ma considerata l’emergenza umanitaria in Libia, Le chiediamo di concedere subito il nulla osta per attuare i 5 voli di evacuazione urgente.
Nelle ultime settimane diverse persone che avrebbero avuto diritto ad un posto su quei voli sono morte. Di malattia, fame e abbandono. Tra di loro c’erano anche un minorenne e una bimba di un anno e mezzo. Le condizioni dei migranti in Libia peggiorano di giorno in giorno. Centinaia di donne e di uomini sopravvivono dietro le sbarre degli atroci campi o per strada, ad esempio nella pericolosa area di Tripoli. Molti hanno bambini piccoli. Tutti sono alla mercé di un Governo, quello libico, che li considera esseri inferiori da utilizzare come forza lavoro in un redivivo sistema economico basato sulla divisione in razze e sulla riduzione in schiavitù degli ultimi.
Affinché tutto questo non rimanga su un piano astratto, ci permetta di raccontarLe alcune storie reali di persone che stiamo cercando di evacuare:
– Maryam, Samira, Fatima e tante altre ragazze che seguiamo, dopo la cattura in mare sono state vendute come schiave da guardie o direttori di campi (anche di campi finanziati da progetti AICS!) per cifre attorno ai 1500 dollari. Le hanno comprate privati cittadini libici per usarle di giorno come domestiche non pagate, tutte le notti le hanno violentate.
– Paul, Sebastian e un numero altissimo di altri ragazzi, catturati in mare nel 2020, sono stati processati dal Tribunale ordinario di Tripoli. Legati, bendati e senza avvocati difensori. Da lì sono stati destinati ai lavori forzati: chi come operaio per costruire opere pubbliche e private, chi come schiavo-soldato.
Come saprà, l’articolo 6 della legge libica 19/2010 sull’immigrazione clandestina viene tuttora applicato dal Governo di Accordo Nazionale Libico (Gna). Tale legge, per il reato di immigrazione clandestina, prevede la pena della detenzione con lavori forzati.
Alla schiavitù si aggiunge la fame. E le conseguenti malattie. Anche chi è riuscito a scappare da prigioni, lavori forzati e torture sta morendo. Soprattutto i bambini. Soffrono di calo della vista, problemi cardiaci e di una serie di patologie provocate dallo stato di denutrizione in cui versano.
In Libia i migranti non hanno accesso a cure mediche. Seguiamo donne incinte che non hanno mai visto un dottore e saranno costrette a partorire nascoste, perché un’altra legge libica prevede l’arresto immediato per le donne che hanno figli senza marito. L’estate scorsa hanno arrestato una ragazza che conosciamo: la sua unica colpa era stata recarsi in un ospedale di Tripoli per non morire di parto, è stata portata in prigione poche ore dopo la nascita del suo bambino.
Se non interveniamo, queste persone moriranno in Libia, oppure tenteranno il mare, con i rischi che conosciamo bene.
L’Europa, come esposto nella denuncia presentata da Juan Branco e Omer Shatz alla Corte penale dell’Aia per Crimini contro l’umanità a giugno del 2019, è coscientemente responsabile delle morti per annegamento, dei respingimenti sia in Libia che lungo le rotte balcaniche, dei conseguenti crimini contro le persone respinte. Vediamo la politica italiana esprimere accorate parole di cordoglio per casi particolarmente drammatici, come la morte del piccolo Joseph o l’abbandono dei rifugiati nel campo di Lipa, ma non possiamo fare a meno di notare la sua ignavia, quando si tratta di intervenire con i fatti.
L’emergenza Covid-19 viene troppo spesso utilizzata come scusante per bloccare i corridoi umanitari. Eppure, la recentissima esperienza dal Libano ci ha dimostrato che non c’è cosa più sicura dei corridoi legali, che prevedono controlli medici accurati sui rifugiati in entrata nel nostro Paese.
Tra qualche anno, ciò che oggi stiamo raccontando finirà sui libri di Storia. Ma non vi finirà solo ciò che abbiamo detto, vi finirà anche e soprattutto ciò che abbiamo fatto – o non fatto – per evitarlo.
Oggi, con questa lettera, chiediamo di aprire urgentemente un canale legale e sicuro tra la Libia e l’Italia, ma anche di mettere in atto una svolta nella politica migratoria italiana e far sì che essa ispiri il resto d’Europa.”
Una battaglia di civiltà
Globalist fa suo questo appello e lo rilancia. In decine di articoli e interviste abbiamo documentato la tragedia libica, dando voce a quanti non ne hanno, inchiodando alle loro responsabilità quanti – verro signor presidente del Consiglio, signor ministro degli Esteri ? – avrebbero potuto e dovuto intervenire da tempo se non fossero mossi dall’ossessione di dover fermare una (inesistente) “invasione” di migranti.
“In Libia – denuncia Oxfam in un recente report- al momento si trovano oltre 620 mila migranti e rifugiati, in buona parte vittime di rapimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e lavori forzati ad opera di bande armate e fazioni in lotta. Si registrano già oltre 1.400 contagi da coronavirus, ma potrebbero essere molti di più. Da tre anni denunciamo, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, gli orrori dei lager libici che avvengono con la connivenza e il finanziamento italiano. Eppure il governo continua ad aumentare le risorse a favore delle autorità libiche e della Guardia costiera che da molte inchieste risulta direttamente collegata al traffico di esseri umani. Una vergogna che si ripete. Migliaia di disperati sono sottoposti a condizioni igieniche disumane nei centri di detenzione, ammassati uno sull’altro e dunque esposti al contagio da Covid-19. L’Italia dovrebbe lavorare a livello europeo per ripristinare le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, non lasciandole alla sola gestione delle organizzazioni umanitarie che si battono ogni giorno per salvare vite in mare. Allo stesso tempo serve un immediato Piano di evacuazione dai centri di detenzione, come lo stesso ex ministro dell’interno Marco Minniti, tra gli ideatori dello sciagurato accordo Italia-Libia, ha tra l’altro più volte proposto”.
Gli africani sono nel terrore” dice a Fides Mussie Zerai, sacerdote dell’eparchia di Asmara, sempre attento ai temi dell’immigrazione, tra i firmatari dell’appello alla ministra Lamorgese. “Non hanno alcuna certezza. Chi vive in uno dei 22 campi profughi gestiti dal governo di Tripoli non sa più a chi fare riferimento: i comandanti sono spesso collusi con i trafficanti, i politici sono assenti, i militari sono violenti”. Nei centri della Tripolitania i detenuti sono circa cinquemila. Sono eritrei, etiopi, somali, sudanesi. Altri campi sono presenti in Cirenaica. Molti sono anche i centri illegali gestiti direttamente dalle milizie. Sono pieni di gente che fugge dalla miseria e cerca un futuro migliore in Europa.
Poche speranze
I firmatari della lettera-appello attendono ancora risposta. Ma i segnali che giungono dalla destinataria della missiva non sono tra i più incoraggianti.
“Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese recita una nota del Viminale – ha incontrato questa mattina (ieri, ndr) al Viminale il vice Presidente del Governo di accordo nazionale della Libia, Ahmed Maitig.
‘In questi mesi abbiamo avuto modo di confrontarci regolarmente, con un dialogo sempre franco e costruttivo, rafforzando il legame tra i due Paesi’, ha dichiarato il ministro Lamorgese, ribadendo “la vicinanza al popolo libico e il massimo sostegno al Governo di accordo nazionale nel percorso di stabilizzazione del territorio libico”.
“L’Italia è sempre stata e rimarrà al fianco della Libia nel processo di rafforzamento delle proprie istituzioni e di rilancio economico-sociale”, ha sottolineato la titolare del Viminale, aggiungendo che “in vista delle prossime elezioni, l’impegno italiano rimane attento e sensibile alle esigenze e alle volontà del popolo libico, a conferma dello storico rapporto privilegiato che caratterizza le relazioni dei nostri Paesi”.
“L’impegno del nostro Paese continua ad essere quello di porre la pacificazione in Libia al centro del confronto con gli interlocutori internazionali ed in particolare le istituzioni europee e gli altri Stati del Mediterraneo, per lavorare tutti insieme per una soluzione stabile, che segni una nuova fase per tutto il popolo libico”, ha concluso il ministro Lamorgese.
Nel comunicato, riassuntivo dell’incontro, non c’è alcun riferimento alla violazione dei diritti umani nei lager libici, né un riferimento, anche implicito, ai corridoi umanitari.
Così non va, Signora Ministra. Certe affermazioni talmente generiche da risultare insultanti della drammatica realtà quotidiana che vivono migliaia di disperati, le lasci al suo collega degli Esteri, un vero campione di aria fritta. A Lei si è chiesto di agire per la legalità “umanitaria”. Con i corridoi umanitari. Così si è davvero “vicini al popolo libico” e ai deportati nei lager di quel martoriato Paese. Per il momento, il “massimo sostegno al Governo di accordo nazionale” da parte dell’Italia è stato il rifinanziamento della cosiddetta Guardia costiera libica, a cui abbiamo affidato il lavoro sporco dei respingimenti in mare. Di questo, mi creda, c’è poco di che vantarsi. E molto da vergognarsi.
Scambio di prigionieri?
Ah sì, c’è poi il “giallo”. Di cosa si tratta? Di qualcosa di molto importante, e inquietante, di cui non si trova traccia nel comunicato del Viminale. Il vice presidente del Consiglio presidenziale libico, Ahmed Maitig, e il ministro dell’Interno italiano, Luciana Lamorgese, hanno discusso della “possibilità di stabilire un principio generale per lo scambio dei prigionieri dei due paesi in futuro”. Lo ha affermato lo stesso Maitig sul proprio profilo Facebook, riferendo dell’incontro avvenuto a Roma. I due, si legge ancora, hanno anche “discusso l’attuazione dei termini dell’accordo siglato tra Libia e Italia in materia di formazione e aggiornamento delle competenze di ciascuno dei dipendenti del ministero dell’Interno, delle Forze Antiterrorismo e delle Guardie di frontiera terrestri e marittime”
Scambio di prigionieri? Nel trattato Italia-Libia questa cosa non c’è, e, nel caso, dovrebbe riguardare più il ministero di Grazia e Giustizia che quello dell’Interno. Detto questo si parla di “principio generale” che andrà/andrebbe interpretato caso per caso perché’ un conto è detenere noi qualcuno che ha commesso un crimine altrove, quindi passibile di richiesta d’estradizione, un conto è detenere noi un cittadino di un altro Stato che ha commesso un reato in Italia ma che, per ragioni varie, vogliamo mandare a casa sua. E tra queste ragioni ci può essere anche un pegno da pagare, sia pure in differita. In questa chiave, il riferimento ai “calciatori” scafisti libici condannati in Italia per traffico di esseri umani e procurata strage, che l’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar, avrebbe chiesto in cambio dei 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati per 108 giorni, è d’obbligo.
Gentile Ministra, come stanno le cose?
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