Francesco non usa giri di parole: "La Libia è un inferno e i campi di accoglienza sono lager"
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Francesco non usa giri di parole: "La Libia è un inferno e i campi di accoglienza sono lager"

"Ci danno una versione distillata, Voi non immaginate l'inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare".

Papa Francesco
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8 Luglio 2020 - 10.26


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I campi detti di accoglienza per i migranti in Libia in realtà sono “lager, un inferno”. Papa Francesco denuncia l’indifferenza del mondo ricco e opulento che da’ di quella terribile realtà “una versione distillata”. “Nessuno può immaginare l’inferno che si vive lì”, ha detto durante la messa che ricorda il suo viaggio a Lampedusa, “il lager di detenzione per questa gente che veniva solo con la speranza”.

Francesco ha rievocato con parole particolarmente forti quella giornata a Lampedusa: “Ricordo quel giorno, sette anni fa, proprio al Sud dell’Europa, in quell’isola. Alcuni mi raccontavano le proprie storie, quanto avevano sofferto per arrivare lì . E c’erano degli interpreti. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua, e l’interprete sembrava tradurre bene; ma questo parlava tanto e la traduzione era breve. ‘Mah – pensai – si vede che questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi’. Quando sono tornato a casa, il pomeriggio, nella reception, c’era una signora – pace alla sua anima, se n’è andata – che era figlia di etiopi. Capiva la lingua e aveva guardato alla tv l’incontro. E mi ha detto questo: ‘Senta, quello che il traduttore etiope Le ha detto non è nemmeno la quarta parte delle torture, delle sofferenze, che hanno vissuto loro’. Mi hanno dato la versione “distillata”. Questo succede oggi con la Libia: ci danno una versione ‘distillata’. La guerra si’ è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive li’, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare”.

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 Nel suo primo viaggio al di fuori del Vaticano, Francesco volle denunciare quella “globalizzazione dell’indifferenza” che rende insensibili alle grida degli altri. Quella prima uscita ufficiale fuori dalle Mura Vaticane del Pontefice argentino già portava alcuni dei segni che avrebbero poi contraddistinto il suo Pontificato: le periferie, gli ultimi, i gesti carichi di significato. Papa Francesco racconta, in un’intervista che apre il libro “In viaggio” di Andrea Tornielli, di essersi sentito “toccato e commosso” dalle notizie sui migranti morti in mare, “inabissati”: persone comuni, bambini, donne, uomini che continuano a perdere la vita anche oggi, sette anni dopo quel viaggio, in traversate della disperazione, a bordo di imbarcazioni spesso di fortuna, affidate e gestite da gente senza scrupoli.

Doppia l’analogia tracciata dal Papa tra l’attualità e l’Esodo. Un popolo che cammina nel deserto da una parte, un popolo reso insensibile dalla ricchezza dall’altra.
“Il popolo d’Israele, descritto dal profeta Osea nella prima Lettura, all’epoca era un popolo smarrito, che aveva perso di vista la Terra Promessa e vagava nel deserto dell’iniquità”, ha sottolineato, “La prosperità e l’abbondante ricchezza avevano allontanato il cuore degli Israeliti dal Signore e l’avevano riempito di falsità e di ingiustizia”.
“Si tratta di un peccato da cui anche noi, cristiani di oggi, non siamo immuni” ha aggiunto, “la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.

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Papa Francesco ricorda l’anniversario del suo primo viaggio dopo l’elezione rinfacciando all’Occidente e all’Europa la sua indifferenza di fronte alla tragedia dei migranti e ricordando che quello che accade lungo i viaggi della speranza, “nel bene e nel male”, è fatto all’uomo come a Dio. In particolare proprio le violenze e gli orrori dei campi di Libia, dove i migranti vengono abusati e sfruttati, spesso torturati e umiliati.

“Tutto quello che avete fatto…’, nel bene e nel male”, ha detto Bergoglio nel corso dell’omelia della messa con cui ha ricordato quel viaggio, definito in Vaticano “programmatico” dell’intero pontificato, “questo monito risulta oggi di bruciante attualità. Dovremmo usarlo tutti come punto fondamentale del nostro esame di coscienza quotidiano. Penso alla Libia, ai campi di detenzione, agli abusi e alle violenze di cui sono vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti. ‘Tutto quello che avete fatto l’avete fatto a me'”

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