Lucha y Siesta: sulla Casa delle vittime di violenza Virginia Raggi mente
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Lucha y Siesta: sulla Casa delle vittime di violenza Virginia Raggi mente

Le militanti: la sindaca non cerca una soluzione per lo spazio creato a tutela delle donne che hanno subito violenza e dei loro figli

Manifestazione alla Casa delle Donne Lucha y Siesta
Manifestazione alla Casa delle Donne Lucha y Siesta
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28 Febbraio 2020 - 21.11


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di Adriano Ercolani

Nei mesi precedenti vi avevamo raccontato la situazione d’emergenza della Casa delle Donne Lucha y Siesta di Roma, sottolineandone l’importanza sociale nel territorio romano e la grande partecipazione solidale da essa ispirata.

Lucha y siesta, vergogna romana: donne e bambini dentro, ma è già cominciato il distacco delle utenze

Ricordiamo solo questo dato: il Consiglio d’Europa nella Convenzione di Instabul indica come misura sociale minima la presenza di un posto letto ogni diecimila abitanti da mettere a disposizione per donne che escono da situazioni di violenza.
Nella capitale (città che ufficialmente ha una popolazione di circa 3 milioni di persone) ce ne sono appena 25, invece dei circa 300 necessari. Più della metà sono forniti da Lucha y Siesta.
Eppure, la priorità, invece di incrementare l’offerta sociale, sembra quella di cancellare una delle poche realtà positive della Capitale. La situazione si è complicata ulteriormente nelle ultime settimane.

«Lucha y Siesta è un presidio di cultura e per le donne, Roma lo salvi»

Già a fine gennaio le militanti denunciavano in un loro comunicato la scarsa comprensione del valore culturale e politico dell’esperienza da parte della sindaca Virginia Raggi, la quale riduceva la questione a una mera emergenza abitativa, ventilando la possibilità che il Comune partecipasse all’asta per la dismissione dell’immobile Atac di via Lucio Sestio 10, sede di Lucha y Siesta.
Questo nonostante il comitato popolare Lucha alla città, che da mesi sta raccogliendo fondi per salvaguardare l’esperienza della Casa delle donne, avesse chiesto più volte di parlare con il Comune, senza risposta, e nonostante il riconoscimento dell’importanza della struttura da parte dei servizi sociali comunali e della Regione.
La posizione era netta: “Riteniamo inaccettabile questa confusione e altalena di intenti e dichiarazioni senza chiarezza alcuna, siamo stanche del vuoto politico che continua ad agire violenza sulle donne che a Lucha vivono, lavorano e costruiscono faticosamente nuovi percorsi di vita”.

L’11 febbraio è stato diramato un nuovo comunicato, alla vigilia dell’annunciato distacco delle utenze nell’immobile, deciso da Atac Roma col sostegno del Comune, anche questo dai toni fermi e accesi: “In questi ultimi due mesi le donne di Lucha y Siesta sono state sottoposte a una pressione continua. Insieme – le attiviste, le operatrici e le donne in uscita dalla violenza – resistono allo svuotamento della Casa e alla “ricollocazione” di chi vive a Lucha nel caso in cui ciò comporti un danno nel percorso di autonomia e restano vicine alle donne per le quali, invece, il tempo di una nuova casa è maturo”.

Nulla, però, rispetto allo scontro frontale dell’ultimo comunicato, quello del 25 febbraio, in seguito al trasferimento di più della metà delle donne ospitate nella struttura, che denuncia l’inadeguatezza delle soluzioni proposte: “Arroganza e mistificazione della realtà, questo le donne di Lucha y Siesta e le operatrici stanno subendo ormai da mesi per mano dell’amministrazione capitolina. Non è vero che è stata trovata una soluzione per tutte. Delle 14 donne che abitavano a Lucha y Siesta, solo nove hanno ottenuto appartamenti in cohousing. Appartamenti che in alcuni casi sono stati consegnati privi di mobilio essenziale o senza acqua calda, in un clima di violenza che ha reso un passaggio solitamente positivo e felice un momento drammatico. Al momento ci sono 5 donne e 3 bambini che ancora abitano nella Casa. Non è inoltre assolutamente vero che c’è un dialogo aperto per proseguire l’esperienza di Lucha y Siesta”.
Il punto che sancisce l’incomunicabilità con le istituzioni romane è sempre lo stesso, come sottolineato dalle militanti: “Lucha y Siesta non è un immobile, è uno spazio femminista liberato 12 anni fa dal degrado e dall’incuria e trasformato in un punto di riferimento sociale e politico”.

Francamente, ci sembra paradossale, in nome della legalità, un accanimento così pervicace nei confronti delle poche realtà funzionanti (non solo Lucha y Siesta) in una città divorata dal cancro della corruzione. Del resto, la decisione di mettere all’asta l’immobile rientra nel Concordato per evitare il fallimento di Atac, ovvero della municipalizzata più indebitata d’Italia.
Intanto, un movimento anticostituzionale continua a occupare uno stabile elegante nel centro di Roma.
Non possiamo che dichiarare il nostro pieno sostegno alla Casa delle Donne Lucha y Siesta.

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