I richiedenti asilo non sono clandestini: la Lega condannata per i manifesti discriminatori

La corte d'appello di Milano: "Il termine è stato riferito a persone straniere che hanno presentato allo Stato domanda di protezione internazionale, esercitando un diritto fondamentale dell'individuo"

I manifesti della Lega condannati perché discriminatori
I manifesti della Lega condannati perché discriminatori
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6 Febbraio 2020 - 15.57


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Lo sapevamo: un conto è dire fesserie in libertà senza contraddittorio e un altro conto è poi provare che quello che si dice è vero: non possono essere classificati con il termine di “clandestini” gli stranieri che hanno chiesto l’asilo politico in Italia.
E’ sulla base di questa argomentazione giuridica che la Corte d’Appello di Milano ha condannato la Lega Nord per la “valenza discriminatoria” dell’utilizzo della parola “clandestino”.
I giudici d’appello hanno in sostanza confermato la sentenza del primo grado di giudizio in cui il Carroccio era stato condannato al pagamento di un risarcimento per danni non patrimoniali di 5 mila euro a favore di ciascuna delle due associazioni Asgi (Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione) e Naga (Associazione volontari di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di stranieri rom e sinti) che si erano rivolte al Tribunale per denunciare il contenuto discriminatorio dei manifesti esposti durante una manifestazione organizzata dalla Lega a Saronno nell’aprile 2016. Manifesti che contenevano dichiarazioni come “Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse”, e ancora “Renzi e Alfano complici dell’invasione”.

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Un’espressione, “clandestini”, che secondo i giudici milanesi in questo contesto è inappropriata e dunque discriminatorie. Perché “nel caso in esame – si legge nelle motivazioni della sentenza d’appello – il termine clandestini è stato riferito a persone straniere che hanno presentato allo Stato domanda di protezione internazionale, esercitando in tal modo un diritto fondamentale dell’individuo”. Siccome si tratta di “soggetti che hanno chiesto l’accertamento del diritto a permanere nel territorio dello Stato a fronte di dedotte situazioni di pericolo di persecuzione nel caso di rientro nel Paese d’origine o di rischio effettivo di danno grave alla persona”, secondo i giudici milanesi “non è ammissibile l’utilizzo dell’espressione clandestini” proprio perché è un termine “individua la posizione di chi fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione di disposizioni normative che regolano l’immigrazione”. E’ dunque evidente, si legge ancora nel provvedimento, che “nella pendenza del procedimento di valutazione della domanda di protezione internazionale il cittadino straniero non può ritenersi clandestino” proprio perché “si trova nella posizione di chi esercita un diritto costituzionalmente tutelato. E infatti in tale situazione è rilasciato allo straniero dalla Questura un permesso di soggiorno per richiesta di asilo, grazie al quale può essere svolta attività lavorativa”.

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