Francesco spiega la Civiltà Cattolica: "È quella del buon samaritano"
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Francesco spiega la Civiltà Cattolica: "È quella del buon samaritano"

Nel 170esimo anniversario della fondazione della prestigiosa rivista dei gesuiti il Papa in poche parole ha indicato il nuovo corso della Chiesa in un biglietto mandato al direttore padre Spadaro

Papa Francesco e padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà cattolica
Papa Francesco e padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà cattolica
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30 Dicembre 2019 - 17.20


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Nel 170esimo anniversario della fondazione della prestigiosa rivista “La Civiltà Cattolica” Papa Francesco ha inviato un biglietto scritto a mano al direttore, padre Antonio Spadaro. Nel testo si legge: Continuate a vivere la dinamica tra vita e pensiero con occhi che ascoltano, sapendo che la “civiltà cattolica” è quella del buon samaritano. Vi auguro di essere creativi in Dio esplorando nuove strade, anche grazie al nuovo respiro internazionale che anima la rivista: si sentono salire dalle pagine le voci di tante frontiere che si ascoltano. Fate discernimento sui linguaggi, combattete l’odio, la meschinità e il pregiudizio. E soprattutto non accontentatevi di fare proposte di rammendo o di sintesi astratta: accettate invece la sfida delle inquietudini straripanti del tempo presente, nel quale Dio è sempre allopera.“

Poche righe per dare indicazione importantissime. Esiste una civiltà cattolica? Si, esiste: E come la possiamo riassumere? In quattro parole: quella del buon samaritano.

 

Ha scritto sul buon samaritano il cardinale Ravasi, dopo aver ricordato che il papa evocò questa parabola nella sua omelia di apertura dell’anno santo della misericordia: “ Davanti a Gesù, che è in marcia dalla Galilea verso Gerusalemme, si presenta un dottore della legge che gli pone un quesito: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gli impegni dell’ebreo osservante per raggiungere questa meta erano stati codificati dalla tradizione rabbinica in 613 precetti estratti dalla Bibbia, 365 negativi (quanti sono i giorni dell’anno) e 248 positivi, tanti quante erano le ossa del corpo umano secondo l’antica fisiologia. Gesù risponde citando due passi biblici, entrambi legati all’“amare”: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze» (Deuteronomio 6,5) e «Amerai il prossimo come te stesso» (Levitico 19,18). Il dialogo ha, però, una svolta nell’ulteriore replica dello scriba: «Chi è mai il mio prossimo?». È, questo, un quesito “oggettivo” che l’ebraismo risolveva sulla base di una serie di cerchi concentrici di rapporti interpersonali ben circoscritti. Gesù risponde ricorrendo, invece, a una parabola che alla fine ha un interrogativo rilanciato allo scriba: «Chi ha agito come prossimo?». Il ribaltamento è evidente: invece di interessarsi “oggettivamente” alla definizione del prossimo, Gesù invita a comportarsi “soggettivamente” da prossimo nei confronti di chi è nella necessità e che subito vede chi gli è veramente prossimo. Un viandante sta percorrendo la strada sopra evocata che discende lungo i monti del deserto di Giuda. All’improvviso, si ha un assalto di briganti che «lo spogliarono, lo coprirono di percosse e se ne fuggirono lasciandolo mezzo morto». La scena è drammatica: un corpo insanguinato, il silenzio del deserto, l’attesa di un passaggio. Ecco, finalmente, da lontano un sacerdote. Ma subito la delusione: «Passò oltre dall’altra parte» della strada. Ecco un altro passaggio, un levita. Di nuovo la delusione: anch’egli «passò oltre dall’altra parte». C’è, però, un terzo viandante che avanza più tardi: è un “eretico samaritano, appartenente a una comunità che nella Bibbia è chiamata «lo stupido popolo che abita in Sichem», anzi, «neppure un popolo»  Eppure è solo lui che si accosta e si piega sull’ebreo ferito, suo nemico religioso e politico, per aiutarlo. Gesù non si perde nei particolari per i primi due, cercando spiegazioni per il loro atto di omissione, motivato forse da ragioni rituali (il sangue e la morte rendevano impuri chi vi entrasse in contatto e ciò era rilevante per un sacerdote e un levita ai fini delle loro funzioni e del loro statuto). Gesù spazza via il legalismo che ignora la sofferenza dell’altro e che, alla fine, uccide e si ferma sulla figura-modello del samaritano. Costui è autenticamente prossimo del sofferente senza interrogarsi su chi sia questo prossimo da aiutare:.” Conclude Ravasi citando il Vangelo: «Passò vicino a lui, gli fasciò le ferite, lo caricò sul suo giumento, lo condusse alla locanda e si  prese cura di lui… Prenditi cura di lui!».

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Se questo è, chiarissimo e fortissimo, il primo messaggio, il secondo è di combattere l’odio, la meschinità e il pregiudizio. Sono parole riferite alla realtà culturale del nostro tempo e che non è difficile interpretare e calare nella realtà. Chi scrive sulla Civiltà Cattolica per spiegare la civiltà cattolica deve essere impegnato nel contrastare odio, meschinità e pregiudizio. Difficile dubitare che l’accoglienza c’entro con tutto questo. Anzi, è difficile dubitare che l’accoglienza sia il cuore della civiltà cattolica.

 

Il terzo messaggio, chiarissimo e importante quanto i precedenti è quello contenuto nell’esortazione di accettare la sfida delle inquietudini del tempo presente. Proprio ricevendo gli scrittori de La Civiltà Cattolica in occasione della pubblicazione del loro fascicolo numero 4000 il Papa aveva parlato dell’importanza di incompletezza, inquietudine e immaginazione. E partendo proprio dall’inquietudine, su di essa disse: “Vi pongo una domanda: il vostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca? Solo l’inquietudine dà pace al cuore di un gesuita. Senza inquietudine siamo sterili. Se volete abitare ponti e frontiere dovete avere una mente e un cuore inquieti. A volte si confonde la sicurezza della dottrina con il sospetto per la ricerca. Per voi non sia così. I valori e le tradizioni cristiane non sono pezzi rari da chiudere nelle casse di un museo. La certezza della fede sia invece il motore della vostra ricerca. Vi do come patrono san Pietro Favre (1506-1546), uomo di grandi desideri, spirito inquieto, mai soddisfatto, pioniere dell’ecumenismo. Per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione. Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo grandi visioni e slancio? Siamo audaci? Oppure siamo mediocri, e ci accontentiamo di riflessioni di laboratorio? La vostra rivista prenda consapevolezza delle ferite di questo mondo, e individui terapie. Sia una scrittura che tende a comprendere il male, ma anche a versare olio sulle ferite aperte, a guarire. Favre camminava con i suoi piedi e morì giovane di fatica, divorato dai suoi desideri a maggior gloria di Dio. Voi camminate con la vostra intelligenza inquieta che le tastiere dei vostri computer traducono in riflessioni utili per costruire un mondo migliore, il Regno di Dio.

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In definitiva si può dire che raramente un messaggio di poche righe ha contenuto indicazioni così profonde, importanti e profonde nella loro chiarezza.

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