La rabbia delle famiglie adottive contro Salvini: "non osi definire i nostri figli 'bambini confezionati'"
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La rabbia delle famiglie adottive contro Salvini: "non osi definire i nostri figli 'bambini confezionati'"

A parlare è Paola Crestani, presidente del Ciai (Centro aiuto all'infanzia): "ci sono centomila bambini adottati in Italia, non sono inferiori a quelli nati qui"

Famiglie adottive
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30 Aprile 2019 - 16.13


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Con le sue parole sui ‘bambini confezionati’ Matteo Salvini ha fatto infuriare tante persone. Non solo Cecile Kyenge, ex Ministro per l’Integrazione, che ha giustamente domandato che razza di uomo è uno che parla dei bambini in questi termini, ma anche la Ong Ciai, Centro aiuti all’infanzia, che da 50 anni si occupa di adozione internazionale. 
Secondo Salvini, che in un comizio a Cantù ha fatto salire sul palco un uomo padre di sei figli e ha detto “questa è l’Italia cui stiamo lavorando, che i figli nascano in Italia e non ci arrivino dall’altra parte del mondo”, i bambini nati in Italia avrebbero un non meglio identificato surplus rispetto a quelli adottati. Parole commentate in questo modo da Paola Crestani, mamma adottiva e presidente del Ciai: “le famiglie adottive sono arrabbiate, ma non spaventate. Sono attrezzate ad affrontare difficoltà ben più grndi delle parole di un personaggio politico, anche quelle di un ministro. È solo una difficoltà in più da affrontare. Ma il clima di odio che quelle parole generano ha ripercussioni sui loro, sui nostri, figli”.
“No, ministro Salvini, sentirla parlare di ‘bambini già confezionati’ a noi soci di Ciai non piace per niente. Perché i nostri figli adottivi sono esattamente quelli che lei ha ridicolizzato parlando di bambini ‘già confezionati’ che arrivano da lontano, che ‘sostituiscono’ quelli che lei dice ‘avremmo dovuto partorire’. È offensivo per i nostri figli e per tutti i bambini a cui ha fatto riferimento. È pericoloso perché la metafora lanciata dal palco è un seme sparso che rischia di attecchire: lo sa che si potrebbe intendere che oggi in Italia i nostri figli e le nostre famiglie sono sbagliate? È anacronistico. A sentire queste parole facciamo un passo indietro di 50 anni quando Ciai ha portato l’adozione internazionale in Italia. Ma da allora sono circa centomila i bambini adottati da famiglie italiane. Sono nostri figli, le nostre ragioni di vita, il bene piu’ grande”.
Inizia così il post sul sito del Ciai in cui si sottolinea come le parole hanno sempre conseguenze, “possono far nascere paura e discriminazione al posto di accoglienza e tolleranza. Lei cosa ha deciso di far nascere?”.
Nei giorni scorsi si è svolta a Rimini l’assemblea annuale del Ciai (sono 1.437 i soci) a cui hanno partecipato tante famiglie adottive con i loro figli. “Sono stati tanti i ragazzini che hanno riferito episodi di razzismo, episodi che rispetto a qualche anno fa sono più frequenti, più tollerati come se fossero considerati quasi normali – dice Crestani – Siamo consapevoli che questi episodi non sono espressamente rivolti ai bambini adottati ma non si possono fare differenze perché quando si dice che i ragazzini africani non hanno il diritto di stare qui o sono pericolosi si colpiscono tutti. Perché in strada le persone non vanno in giro con un cartello con scritto come sono arrivati in Italia”.
E aggiunge: “Noi che abbiamo avuto l’esperienza di capire che un ragazzo nato in un posto completamente diverso e con tratti somatici completamente diversi può essere nostro figlio, non facciamo differenze – conclude Crestani – Ogni bambino o ragazzo, indipendentemente dal colore della pelle o dalla provenienza, potrebbe essere nostro figlio. Potrebbero esserlo i tanti che affrontano esperienze drammatiche pur di cercare salvezza nella nostra terra. Per questo la sua affermazione ci offende come genitori e come cittadini”.
Il post si conclude chiedendo al ministro di poter vivere in un Paese in cui “siano banditi odio e discriminazione, in cui ogni bambino o ragazzo possa sentirsi accolto e valorizzato come persona e per quello che potrà un giorno dare alla società. Noi ci impegniamo tutti i giorni nella valorizzazione delle differenze, a cominciare da quelle dei nostri figli. E ci aspettiamo che anche lei si impegni per questo. E siamo qui per ricordarglielo. Ogni volta che sarà necessario. Noi non ci fermiamo. Perché essere differenti ci dà la forza di fare la differenza”.

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