di Riccardo Valdes
Prima si chiamavano le ‘magistrature del mare’ quando ancora esistevano le Repubbliche Marinare. Poi con l’Unità d’Italia nel 1865 nacque la Guardia Costiera che ha per statuto, e ai sensi del Codice di navigazione, della convenzione di Amburgo e di quella di Montego Bay, la salvaguardia delle vite umane in mare. Un corpo formato da 11mila tra uomini e donne guidato dal febbraio del 2018 dall’ammiraglio ispettore capo Giovanni Pettorino.
Pettorino, 62 anni, originario di Ischia, sposato e padre di due figli, laurea in Scienze politiche e specializzazione in Diritto internazionale marittimo, dal 3 ottobre 2015 era direttore marittimo della Liguria e comandante del porto di Genova. Poi la nomina a capo del Corpo.
Mercoledì scorso la Guardia Costiera italiana ha celebrato i 153 anni di vita. Ed è stato a quel punto che l’ammiraglio ha preso la parola davanti al ministro Danilo Toninelli e al presidente della Camera Roberto Fico per dire che c’è un «principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare».
Come riporta L’Avvenire Pettorino ha ricordato un episodio che è vanto di tutti i marinai. Ovvero “la rievocazione del leggendario comandante siciliano Salvatore Todaro, che durante la Seconda guerra mondiale affondò una nave militare belga per poi salvarne l’equipaggio. Todaro, come ha ricordato Pettorino, venne «violentemente apostrofato» dall’ammiraglio alleato tedesco Karl Donitz, che irrise l’ufficiale italiano definendolo «don Chisciotte del mare» e minacciando gravi conseguenze per avere tratto in salvo i nemici, mettendo a rischio il suo stesso equipaggio. Il perché di quella disobbedienza lo spiega Pettorino, guardando negli occhi gli esponenti politici sulla tribuna e facendo propria la risposta di Todaro: «Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo».
Ecco, abbiamo duemila anni di civiltà e queste cose le facciamo. Tanto che su Twitter i soliti haters hanno commentato sulla pagina della Guardia Costiera: “L’ammiraglio Pettorino andrebbe rimosso dall’incarico, essendosi apertamente schierato contro la politica governativa sulla questione dei migranti: per dichiarazioni del genere un tempo si sarebbe finiti sotto processo”. E invece, per fortuna, Pettorino guida con orgoglio e abnegazione un corpo di valore, una medaglia di civiltà sul petto della Repubblica italiana.
Già quando si era insediato l’ammiraglio, non una “maglietta rossa”, aveva ribadito che la Guardia costiera è «un’organizzazione unica», «gloriosa ed amata», «un’eccellenza del nostro Paese». Un concetto rilanciato dal suo predecessore l’ammiraglio Melone nel suo discorso di commiato che aveva ricordato che «solo nel 2017 sono stati soccorsi più di 28mila migranti mentre 115mila sono le persone portate in salvo complessivamente in operazioni coordinate dal Comando generale: risultati importantissimi che non si sarebbero potuti concretizzare senza lo straordinario sforzo operativo ed organizzativo offerto dalle donne e dagli uomini della Guardia costiera».
“Noi continuiamo ad operare secondo quelle che sono le convenzioni internazionali del mare – ha spiegato Pettorino – Vale a dire la convenzione di Amburgo, in particolare, e la convenzione di Montego Bay. Convenzioni che l’Italia ha ratificato con legge e la cui applicazione, quindi, è obbligatoria. Per noi e per tutti i Paesi che le hanno firmate”. “Abbiamo risposto sempre, sempre rispondiamo e sempre risponderemo a ciascuna chiamata di soccorso – ha dichiarato l’ammiraglio meno di un mese fa all’Ansa – Per noi della Guardia Costiera è un obbligo giuridico ma anche un obbligo che sentiamo moralmente perché tutti gli uomini di mare, da sempre e anche in assenza di convenzioni, hanno portato soccorso e aiuto a chi si trova in difficoltà in mare. Noi non abbiamo mai lasciato solo nessuno in mare”.