La fame e la scabbia, le immagini dei bambini sbarcati a Pozzallo sono uno schiaffo ai razzisti
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La fame e la scabbia, le immagini dei bambini sbarcati a Pozzallo sono uno schiaffo ai razzisti

Nelle foto scattate da Terre des Hommes e Unhcr, si vedono le condizioni drammatiche dei minori arrivati nei giorni scorsi in Sicilia.

I piedini di un bimbo con la scabbia
I piedini di un bimbo con la scabbia
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18 Luglio 2018 - 13.28


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Le immagini parlano da sole. E raccontano le condizioni durissime dei lager dove i trafficanti trattengono i migranti in Libia, tra cui anche molti bambini, stipati in stanzoni sovraffollati, spesso per oltre un anno. La scabbia e la malnutrizione sono visibili sui loro corpi una volta arrivati in Italia, proprio come nel caso dei 450 migranti approdati in Sicilia nella notte tra domenica e lunedì 16 luglio. 

I piedi di molti bambini sono pieni di chiazze rossastre. Si vedono nelle foto scattate dagli operatori di Terre des Hommes a due bimbi di 9 mesi e di 3 mesi. Hanno la scabbia, un’infestazione contagiosa della pelle, causata dalle condizioni igieniche precarie degli hangar in cui vengono reclusi. La malattia è causata principalmente dall’acaro Sarcoptes scabiei, un parassita molto piccolo e di solito non visibile, che si inocula sotto la pelle del soggetto colpito provocando un intenso prurito allergico. Tra gli infetti non soltanto bambini, ma anche adulti. “Abbiamo rilevato sintomi di scabbia su almeno 350 persone su 450 – spiega Marco Rotunno, responsabile comunicazione di Unhcr Sicilia -. Abbiamo dovuto prevedere un trattamento più lungo del previsto perché si tratta di casi di scabbia avanzata. Dovranno fare tutti almento tre cicli, nei neonati si riscontrano i casi più gravi”.

Tra i casi più gravi quello di un bambino di appena un anno. “Quasi tutti dei 130 minori sbarcati nell’ultimo arrivo di Pozzallo hanno contratto la scabbia – aggiunge Stefania Pellegrino, sociologa e field officer di Terre des Hommes, associazione che si occupa di supporto psicologico a minori, famiglie e donne incinta – L’infezione è stata contratta durante la permanenza in Libia. Da quando c’è stata la chiusura dei porti e l’allontanamento di molte ong dal Mediterraneo, le condizioni di salute dei migranti, soprattutto tra i bambini, sono sempre peggiori. Questo perché i migranti restano molto più giorni in mare e poi, nella fase di salvataggio, i soccorsi non hanno equipe attrezzate”. I migranti e i richiedenti asilo arrivati in Sicilia nei giorni scorsi erano stati trattenuti nelle stesso centro.  “Ci hanno detto di essere per lungo tempo in questo hangar dai trafficanti, quasi tutti gli eritrei e i somali sono nello stesso centro, ma ci hanno parlato di molti altri luoghi-prigione – aggiunge Rotunno -. Chi ha già pagato viene messo nello stanzone più grande, gli altri sono stipati in camerate più piccole ma sempre piene. Ci sono anche caravan e roulotte. Le condizioni igieniche sono precarie e favoriscono il diffondersi delle malattie”.  Le persone infette sono state curate con specifiche pomate dagli operatori sanitari che operano nell’hotspot di Pozzallo per evitare che i casi di scabbia possano diffondersi. La malattia è contagiosa soprattutto in condizioni igieniche precarie, mentre il rischio contagio in Italia, grazie anche alle cure immediate, è piuttosto basso.

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Ma non c’è soltanto la scabbia. Le immagini dei minori non accompagnati sbarcati a Pozzallo raccontano anche di casi di grave malnutrizione. Un’immagine su tutte, scattata proprio da Marco Rotunno, mostra di spalle un ragazzo eritreo con le braccia scheletriche. “Il ragazzo è stato ricoverato per la terza volta in ospedale. Ha un grave ascesso alla gola ed è in uno stato di denutrizione grave. Il medico che ha visitato le persone in questi giorni che la malnutrizione si riscontra quasi su tutti, sul 90 per cento degli eritrei e somali arrivati – spiega il responsabile di Unhcr – Da quello che ci hanno raccontato le persone questa condizione in molti di loro non è dovuta solo alla mancanza di cibo, ma è anche la conseguenza di malattie prolungate che in queste prigioni nessuno cura. Con l’aria viziata e l’alto numero di persone presenti si ammalano facilmente. Se sei debilitato, poi, rimani in questo stato per lunghissimo tempo”. Ieri uno dei 113 minori non accompagnati arrivati a Pozzallo ha raccontato di aver visto morire di stenti diverse persone. “La debilitazione fisica dovuta a malattie, anche banali, non curate porta alla morte – continua Rotunno -. Questi ragazzi ci stanno raccontando di aver assistito alla morte di diverse persone proprio per questo motivo”. In più c’è la scarsità di cibo. “Nei centri libici si mangia soltanto due volte al giorno, soltanto una ciotola di pasta in bianco condivisa tra dieci persone. Ieri, un ragazzino eritreo di 14 anni è stato ricoverato a causa di un’estrema malnutrizione. Aveva gli occhi spenti, non aveva la forza di parlare, riusciva a malapena a mangiare, era magrissimo” aggiuinge Stefani Pellegrino di Terre des Hommes.

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I segni sul corpo, le malattie, la debilitazione fisica svelano quello che accade in Libia, e che difficilmente riusciamo a vedere, perché sia nei centri di detenzione governativi che nei lager dei trafficanti, l’accesso è limitato. “In Libia in questo momento ci sono diversi problemi, che coinvolgono più livelli – afferma Rotunno -. Innanzitutto non c’è accoglienza, ma solo detenzione, tutti gli stranieri sono illegali nel paese e sono detenuti nei centri governativi. Oltre a questi centri ci sono le prigioni dei trafficanti, non abbiamo neanche una stima di quante persone siano oggi presenti in questi lager. Il livello di insicurezza, dunque, è altoi: è un paese ormai pericoloso per i libici e per chi entra in Libia. Soprattutto non è un luogo sicuro per rifugiati e richiedenti asilo. Un ragazzino di appena 16 anni mi ha raccontato di essere stato preso nel deserto mentre era su una geep, di essere stato sequestrato e portato in un luogo sconosciuto. Non è stato lui ad affidarsi ai trafficanti ma loro ad averlo preso. Alla sua famiglia sono stati chiesti ottomila euro per liberarlo, siccome non avevano tutti i soldi ha dovuto lavorare – aggiunge -. Come tutti ha subito abusi. I racconti di quello che succede nei centri parlano purtroppo anche di torture, e di stupri sulle donne”. (Eleonora Camilli/JacopoStorni)

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