Fu Provenzano a vendere Totò Riina. Un tradimento tra boss che ha avuto come sfondo la trattativa tra Stato e mafia. L’arresto di Riina fu frutto di un compromesso certamente era noto ad alcuni ufficiali del Ros come Mori e de Donno, progetto tenuto nascosto a chi nelle istituzioni credeva nella fermezza dell’azione dello Stato contro Cosa nostra. La ricostruzione – al processo sulla trattativa Stato-mafia – è del pm Vittorio Teresi. Secondo questa ricostruzione della pubblica accusa, la cattura del boss corleonese Totò Riina fu snodo della seconda fase della trattativa tra parte delle istituzioni e la mafia. Snodo oggi al centro dell’udienza del processo sulla cosiddetta dedicata alla prosecuzione della requisitoria della Procura.
L’arresto di Riina, lo ricordiamo, avvenne il 15 gennaio del 1993, dopo decenni di latitanza. Per il pm Vittorio Teresi, Riina venne “consegnato” ai carabinieri dalla componente di Cosa nostra vicina a Bernardo Provenzano. Riina, con cui i militari del Ros imputati al processo avevano intavolato un dialogo per far cessare le stragi, era ritenuto “interlocutore” troppo intransigente. Per questo si sarebbe guardato a Provenzano, convinto della linea della “sommersione”, lontano dall’ultimatum che Riina avrebbe presentato allo Stato tramite i carabinieri.
Provenzano – secondo la ricostruzione del pm Teresi – sarebbe entrato in gioco dopo le stragi del ’92, consentendo la cattura di Riina con la complicità del Ros, Una sola condizione: che il covo del capomafia tradito non fosse perquisito. “Era chiaro che tutto questo doveva essere tenuto segreto – ha continuato Teresi, nella ricostruzione – E dopo la cattura di Riina e l’uscita di scena anche di Ciancimino le linee dell’accordo sono chiare e si passa ai fatti”. “Così come per i carabinieri è fondamentale mantenere il segreto sulla cattura di Riina – ha aggiunto Teresi – altrettanto è importante, per la mafia, che nulla trapeli sul fatto”.