Stuprata dal branco a 15 anni è costretta a emigrare: la terribile storia di una doppia violenza
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Stuprata dal branco a 15 anni è costretta a emigrare: la terribile storia di una doppia violenza

Undici ragazzi vennero arrestati ma dopo appena otto mesi il gup del tribunale dei minori aveva concesso loro la “messa in prova” a due passi da casa della vittima.

Violentata a 15 anni dal branco è costretta a lasciare l'Italia
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

29 Giugno 2017 - 13.27


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Un’altra storia che la dice lunga su quanto la Giustizia italiana e la politica (che non legifera in modo sensato) abbia a cuore le vittime di violenza maschile. Si continua a non proteggere le donne, sia quelle che denunciano per stalking (vedi la storia di Ester Pasqualoni) sia quelle che sono già state picchiate, stuprate e hanno rischiato di morire e che vedono i loro aguzzini vivere serenamente nello stesso paesino a pochi metri dalla propria casa. Un anno fa 12 bulletti stuprarono in più occasioni una ragazzina di quindici anni attirata in un casolare di campagna dal capobranco figlio di un boss di cui la vittima si era innamorata. Subì per mesi a causa delle minacce: “Se parli postiamo su Facebook i video degli stupri”. Undici ragazzi tra i tredici e i quindici anni vennero arrestati ma dopo appena otto mesi il gup del tribunale dei minori aveva concesso loro la “messa in prova”. Una volta liberi i ragazzi tornarono a vivere nel loro paesino, Pimonte, a pochi passi dalla loro vittima. 

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La ragazzina ha lasciato Pimonte, in provincia di Napoli, ed è tornata in Germania, con la sua famiglia, dove aveva vissuto tempo prima. La notizia è stata resa nota dal garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Campania Cesare Romano che, attraverso un comunicato ha denunciato “l’insensibilità istituzionale dimostrata da chi aveva assunto impegno di interessare gli organi giudiziari sull’epilogo della vicenda e di voler recuperare un più attento protagonismo nell’accompagnare, almeno in questa ultima fase, la minore e la sua famiglia”.

“Circa un anno fa la comunità di Pimonte è stata sconvolta dalla terribile vicenda, – ha ricordato Romano – una situazione che ha destabilizzato psicologicamente la minore e la sua famiglia i quali con coraggio hanno trovato la forza di denunciare l’accaduto. All’indomani della notizia, molti gridavano allo scandalo stigmatizzando l’accaduto e sollecitando le Istituzioni locali e regionali perché adottassero le iniziative necessarie a proteggere la minore e a sensibilizzare gli adolescenti di Pimonte per stimolare una condanna collettiva dell’accaduto”.

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“Sono costretto a constatare, purtroppo, – ha sottolineato il Garante – che non si è fatto abbastanza per assicurare protezione alla giovane: i continui schemi e l’esclusione sociale che la ragazza ha dovuto subire hanno aggravato il suo disagio psicologico al punto che la famiglia ha deciso di abbandonare il paese di Pimonte e trasferirsi nuovamente in Germania dove, forse, la minore e la sua famiglia potranno riacquistare la tranquillità di cui ha bisogno”.

“Oggi quindi, – ha evidenziato Romano – chi ha avuto il coraggio di denunciare è costretto ad abbandonare la comunità dove era rientrato con entusiasmo e dopo tanti sacrifici, mentre gli autori dei fatti denunciati, che sono stati messi alla prova nello stesso comune, continueranno a scorrazzare indisturbati.

Questo il modello per i nostri giovani? Questa la giustizia? Questa la protezione?”, si domanda il garante per l’Infanzia. All’epoca dei fatti, a Pimonte, le reazioni alla triste vicenda furono vibranti, soprattutto da parte del vescovo mentre sindaco nei giorni successivi parlò (poi cercando di scusarsi) di una “bambinata”. E qualcuno, tra i genitori dei violentatori minorenni, si permise di dire che la giovane “se l’era cercata”.

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