La messa per il boss non va fatta: il parroco va fermato e rimosso

Quanta differenza tra padre Puglisi ucciso dalla mafia e Don Michele Delle Foglie

Alcune processioni hanno fatto l'inchino sotto la casa dei boss
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

26 Dicembre 2016 - 18.48


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“Me l’aspettavo…”. Si racconta che don Puglisi in quella frazione di vita che lo ha diviso dalla pistola del killer a quella morte che lo riconsegnava a Dio, abbia detto soltanto quella breve frase. Sorridendo al suo assassino. Se l’aspettava perché era consapevole di quello che aveva seminato nel quartiere, in quello spicchio di città rubato ai giardini e sacrificato per decenni al potere mafioso. Consapevole, don Puglisi, della mala erba che la sua testimonianza quotidiana era riuscita a tagliare attorno ai suoi ragazzi di Palermo, facili prede di un paio di cosche mafiose senza Dio e senza legge. Pensando ai suoi ragazzi, don Puglisi aveva detto:”Il primo dovere qui, a Brancaccio, è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo….”.
 La mafia lo aveva avvertito come un nemico pericoloso, capace di prosciugare i canali di reclutamento, e ne aveva ordinato l’uccisione.  Oggi, facile e immediato pensare a un parroco come don Puglisi alla notizia che in un’altra realtà difficile come la Puglia un parroco ha pensato bene di  invitare i suoi fedeli ad onorare il ricordo di un boss della ‘ndrangheta ucciso, a maggio, in Canada. No, i morti non sono tutti uguali. Tra Rocco Sollecito, vissuto e ammazzato da boss, e Pino Puglisi, parroco a Brancaccio c’è tutto quello che fa differente l’Inferno e il Paradiso. Non una pecorella smarrita Sollecito, ma un boss incallito al servizio di una delle più potenti cosche del mondo, i Rizzuto che in Nord America c’erano arrivati partendo proprio dalla Sicilia di don Puglisi.
 Don Michele Delle Foglie, parroco di Grumo Appulla fa della sua decisione una sorta di sfida a quel questore che, responsabilmente, a giugno, aveva vietato ogni cerimonia per il boss. Sostanzialmente il parroco sembra aver voluto dire: qui la Chiesa sono io, e solo io posso decidere se fare o non fare messa. E la messa la faccio, e la annuncio per domani, 27 dicembre, alle 18.30, con tanto di manifesto, con tanto di foto del compianto compaesano. Ecco, noi oggi, pensando a don Puglisi, diciamo al parroco pugliese che lui non è la Chiesa, che lui rema contro la Chiesa, che lui sta dando l’acqua alla mala erba che don Pino tagliava. Per questo diciamo che quella messa non ha da farsi. La Chiesa che Papa Francesco sta ridisegnando, rimodellando a misura di uomo, schierandola contro le logiche di potere disumane e il crimine autoproclamatosi potere, non può permetterlo. A Don Michele non può essere permesso di sporcare la strada imboccata da Francesco e da Francesco indicata alla Chiesa e ai fedeli, che della Chiesa sono l’anima. Don Michele Delle Foglie non può continuare a spacciarsi per pastore della Chiesa di Francesco, va fermato e rimosso, accompagnato fuori dal tempio.
Diceva Rosario Livatino, giudice ragazzino e martire: “Alla fine non ti chiederanno quanto sei stato credente,ma quanto sei stato credibile”. Ecco, nel nome di due testimonianze che la Chiesa ha voluto sugli altari, e nel nome di tanti altri preti che ogni giorno si schierano con gli ultimi, perché la nuova Chiesa di Francesco sia credibile, la messa di domani non ha da farsi, e quella parrocchia pugliese affidata ad un prete che sappia dire no alla mafia e ai suoi morti in battaglia.  

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