Migranti, ancora 40 minori tra i morti senza nome
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Migranti, ancora 40 minori tra i morti senza nome

I tecnici lavorano all'identificazione delle vittime dei naufragi degli ultimi due anni: è importante dare un nome a queste piccole vittime.

Migranti, ancora 40 minori tra i morti senza nome
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19 Aprile 2016 - 16.34


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Ci sono ancora 40 minori tra i morti senza nome, vittime dei principali naufragi degli ultimi due anni. Sui loro corpi stanno lavorando i tecnici del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense della Sezione di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Milano, che ha ricevuto il mandato dal Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse di dare un’identità ai profughi morti nel Mediterraneo. Complessivamente i morti (adulti e bambini) sono oltre mille, considerando solo le tragedie del mare più eclatanti: quella 18 aprile del 2015 (6-700 morti), del 3 ottobre 2013 davanti all’isola di Lampedusa (366 morti accertati e 22 dispersi) e dell’11 ottobre dello stesso anno (260 morti). “Da anni lavoriamo con i bambini soli che sono sopravvissuti a questi viaggi terribili. Ma siamo convinti che il nostro impegno non si debba fermare qui – spiega Federica Giannotta, responsabile dei Progetti Italia per Terre des Hommes, ong che sta finanziando in parte il lavoro del Labanof -. Per noi è eticamente importante dare un nome a queste piccole vittime. Ma anche ricostruire il tessuto tra i vivi e i morti per dare una risposta a quei genitori che hanno perso i propri figli in mare ed eventualmente facilitare il ricongiungimento dei piccoli sopravvissuti con i parenti ancora in vita”.

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L’Italia è stata il primo Paese europeo a dotarsi di una banca dati nazionale per la registrazione dei dati “ante mortem” e “post mortem” dei cadaveri non identificati. Un’attività che viene svolta grazie al lavoro congiunto dell’Ufficio del Commissario Straordinario per le persone scomparse e delle università italiane coordinate da quella di Milano. Tuttavia la mancanza di un’analoga rete europea, le dimensioni della tragedia e le difficoltà a contattare i familiari delle vittime (provenienti da diversi Paesi africani) rende questo compito molto complesso.

“Dare un nome a questi morti è molto importante, non solo da un punto di vista etico – spiega Cristina Cattaneo, direttore del Labanof -. Per le vedove, gli orfani, i genitori ci sono tutta una serie di questioni amminsitrative che restano congelate se mancano i documenti che attestano la morte di un congiunto”. Chi ha perso un coniuge, ad esempio, non può risposarsi. Mentre i bambini sopravvissuti a un naufragio ma che hanno perso i genitori restano bloccati in un limbo, impossibilitati a ricongiungersi con altri parenti in vita. Per non parlare della sofferenza psichica legata all’incertezza, costante, sulla sorte dei propri cari.

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