Quello che inquieta non è la foto del vecchio boss di Maggio che brinda davanti ad una mega torta per aver raggiunto il traguardo dei cento anni. Quello che inquieta non sono i fuochi d’artificio in suo onore, in paese, alle porte di Palermo, a due passi dall’aeroporto che porta il nome di Falcone e Borsellino. Quello che inquieta non è che per festeggiare il vecchio boss, vivo nonostante due attentati, siano arrivati amici e parenti anche da lontano.
Certo, fatti che indignano, soprattutto perché tutto avviene nel paese di Peppino Impastato, che ebbe il coraggio di fare cento passi per arrivare davanti casa Badalamenti e urlare il suo No alla mafia. L’arzillo boss, che pare non essere in disuso, guadagna la cronaca e si piglia la soddisfazione di farsi vedere vivo, vegeto e felice con un bicchiere di champagne in mano.
Ma quello che inquieta di più è quanto continua ad accadere nei salotti bene di Palermo, negli studi professionali di quella Palermo, di una certa Palermo, asservita alla nuova Cosa nostra, che convive con un’altra Palermo che ha piantato solidi alberi di legalità in città, che è essa stessa anticorpo all’illegalità. Lasciato il vecchio boss al brindisi in famiglia, la notizia è che Cosa nostra poteva contare sul più insospettabile dei professionisti di Palermo per gestire le proprie ricchezze, l’avvocato civilista Marcello Marcatajo, 69 anni festeggiati il 4 gennaio. È stato arrestato all’alba nella sua villa di Mondello a due passi di un mare caraibico, in una giornata tutta da godere in questo incredibile gennaio.
A rovinargli la giornata, i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria. La Procura di Palermo lo accusa di riciclaggio, con l’aggravante di aver favorito la mafia, in particolare la cosca dell’Acquasanta. L’ultima operazione dell’avvocato Marcello Marcatajo per conto dei boss sarebbe stata la vendita di una trentina di box. I mafiosi avevano fretta a fare soldi in contanti – come ha rivelato il pentito Vito Galatolo – perché parte del denaro proveniente da quella operazione, 250 mila euro circa, li abbiamo utilizzati per acquistare l’esplosivo che doveva servire all’attentato per il giudice Di Matteo”. E’ l’attentato che nel dicembre 2012 sarebbe stato sollecitato alle cosche palermitane dal superlatitante Matteo Messina Denaro, come ha svelato lo stesso Galatolo nei mesi scorsi.
Assieme a Marcatajo sono finite in manette altre otto persone: un ingegnere che frequentava spesso lo studio del legale, mentre un provvedimento di custodia cautelare è stato notificato in carcere al boss Francesco Graziano, il figlio di Vincenzo, costruttore e boss. In manette è finito anche l’ingegnere Francesco Cuccio, intercettato dalla Finanza nello studio di Marcatajo. Misura cautelare pure per Francesco e Angelo Graziano. Sono invece ai domiciliari il figlio di Marcatajo, Giorgio (accusato di aver collaborato con il padre nelle sue operazioni finanziarie per conto della mafia), la moglie di Francesco Graziano (Maria Virginia Inserillo) e due presunti prestranome, Giuseppe e Ignazio Messeri.
Marcatajo temeva moltissimo le confessioni di Galatolo. “Chissà quanto resto ancora libero… “, si chiedeva. E non sospettava di essere già intercettato. I finanzieri, infatti, avevano scoperto il nome di Marcatajo in un “pizzino” sequestrato a casa del costruttore mafioso Vincenzo Graziano, il vice di Galataolo. E così, erano state piazzate delle cimici nello studio dell’avvocato; cimici che hanno registrato in diretta la confessione del professionista. Ad ogni articolo sui giornali, che raccontava di Galatolo e delle sue rivelazioni, Marcatajo commentava, preoccupato, con alcuni fidati amici.
A volte, addirittura, si vantava del suo ruolo di insospettabile complice dei boss: “Tutti quei signori – diceva dei mafiosi dell’Acquasanta – hanno attinto e attingono da questa minna ( mammella ) che è la mia… come denaro”. Spavalderia e vanto che cominciavano ad incrinarsi negli ultimi mesi, quando cominciava a prevalere la paura di finire in manette. E così è stato.