Caporalato, almeno 10 i braccianti morti in Italia tra luglio e settembre
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Caporalato, almeno 10 i braccianti morti in Italia tra luglio e settembre

Oltre al burkinabè ficilato 10 giorni fa a Lucera per un furto di meloni, da Crotone al Veneto ci sono stati altri 3 italiani, 3 romeni e 3 africani morti di caldo e fatica.

Caporalato, almeno 10 i braccianti morti in Italia tra luglio e settembre
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1 Ottobre 2015 - 16.35


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“Data Accadimento: 20 luglio 2015. Età: 46. Luogo Nascita: Z348. Identificativo datore di lavoro: -1”. È così che diventa parte di una statistica chi muore sul lavoro. Questi dati, disponibili sul sito dell’Inail, corrispondono all’infortunio che quest’estate è costato la vita a Mohammed Abdullah, sudanese, morto nelle campagne di Nardò, in provincia di Lecce, mentre raccoglieva i pomodori. Stessa tabella, poche righe più in là: altri numeri riassumono freddamente la vicenda di Paola Clemente, 49 anni, morta il 13 luglio mentre lavorava all’acinellatura dell’uva nelle campagne vicino Andria. I dati dicono che anche che Mohammed Abdullah non aveva contratto. Paola Clemente, che lavorava per un’agenzia interinale, figura come impiegata in attività di “consulenza gestionale”.
Un altro file, un’altra storia di fatica e lavoro precario, finita con la morte: George Barbieru, cittadino rumeno, morto il 6 luglio a Belfiore, provincia di Verona. Secondo la stampa locale (il suo caso a quella nazionale non è mai arrivato) l’uomo sarebbe morto dopo avere fatto poche centinaia di metri in bicicletta, al termine di una mattinata di lavoro. I giornali scrivono che era assunto come bracciante per una settimana da un’azienda agricola, per lavori nel frutteto. Eppure anche nel suo caso l’Identificativo datore di lavoro è la Posizione assicurativa sono “-1”: il contratto non c’è. Si fermano qui, i dati aperti. Per il censimento delle morti di agosto bisognerà aspettare ancora qualche settimana.

Nell’attesa ci sono le fonti giornalistiche. E solo in Puglia, ad agosto 2015, nei campi o nelle aziende agricole, sono morte altre due persone. Maria Lemma, 39 anni, era di Ginosa in provincia di Taranto ed è morta prima di Ferragosto, anche se la vicenda si è saputa una settimana dopo. Il suo caso non ha avuto clamore, la famiglia avrebbe deciso di non sporgere denuncia perché “la donna soffriva già di diverse patologie”. Zakaria Ben Hasine, tunisino 52enne, in Italia da una vita, con moglie e quattro figli, è morto il 3 agosto nell’azienda agricola in cui lavorava. E il 9 settembre è morto Arcangelo De Marco, che lavorava, sempre nei vigneti, per la stessa agenzia interinale di Paola Clemente. De Marco è morto a seguito di un malore che lo aveva colto tre settimane prima. Non è ancora chiaro dove si trovasse esattamente a lavorare quel giorno, se nella zona di Andria, in Puglia, o in quella di Metaponto, Basilicata.

Altre fonti di cronaca, calabresi, raccontano della morte di Vasile Tusa, 36 anni, bracciante agricolo rumeno, deceduto il 9 agosto all’ospedale di Crotone, a qualche giorno di distanza da un malore che lo aveva colto al termine del lavoro. Il 13 agosto, a Carmagnola, provincia di Torino, muore Ioan Puscasu. Rumeno, 47 anni, secondo i giornali stava lavorando in una serra di fagiolini arroventata dal caldo. Era in Italia da 7 anni, il contratto non l’aveva, pare amasse pescare e coltivare l’orto.

Diventeranno anche loro statistiche, o forse no. Nei dati Inail della Sicilia non c’è traccia di Stefan Cincu, 59 anni, rumeno, morto l’11 giugno scorso al ritorno da una giornata nei campi in provincia di Ragusa. Di lui, la stampa scrive che “aveva detto al datore di lavoro di non sentirsi bene e gli era stato permesso di andare a casa in anticipo”, ma precisa anche che “era un assiduo assuntore di sostanze alcooliche”. Chissà se basterà questo a eliminare la fatica, e il lavoro, tra le cause del suo malore e della sua morte, anch’essa mai arrivata oltre la cronaca locale.

Ammonta almeno a nove, tre italiani, tre rumeni e tre africani, la conta dei morti legati all’agricoltura (e quasi tutti sotto il caporalato) soltanto nell’ultima estate. Poi c’è Sare Mamadou, 37 anni, del Burkina Faso, che il 22 settembre a Lucera, provincia di Foggia, non è morto sul lavoro, ma ucciso dai colpi di arma da fuoco di Raffaele Piacente, 65 anni. Gli spari di Piacente hanno colpito ferendolo gravemente anche un altro giovane burkinabé, Adam Kago, mentre un terzo bracciante è rimasto illeso. I tre avevano rubato (spigolato, secondo le testimonianze di altri braccianti) meloni dal campo della famiglia Piacente. (Giulia Bondi)

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