I medici, l’aborto e l'ipocrisia della coscienza
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I medici, l’aborto e l'ipocrisia della coscienza

Le posizioni etiche degli obiettori occupano i media, anche di settore. Senza alcun raffronto con quelle dei non obiettori e delle donne.

I medici, l’aborto e l'ipocrisia della coscienza
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22 Giugno 2015 - 15.02


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Quando si parla di interruzione volontaria di gravidanza e di obiezione di coscienza, vengono sempre messi in grande rilievo gli alti valori etici del medico che, sulla base della sua coscienza, decide di sottrarsi ad una parte dei compiti inerenti alla sua professione. Fa altrettanto la rivista Gyneco, organo ufficiale dell’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani ([url”AOGOI”]http://www.aogoi.it/[/url]), che ritiene di dover dare spazio esclusivamente alle ragioni e alle posizioni etiche degli obiettori, quasi fossero gli unici ad agire “secondo coscienza”, e quasi come se la “coscienza” dovesse sempre portare ad una scelta di questo tipo.

Mancano, in queste pagine, le ragioni, nonché le “coscienze” e le passioni civili degli altri attori di questa storia, e cioè le donne che richiedono di interrompere una gravidanza indesiderata e gli operatori (non solo ginecologi) che rispondono a questa richiesta di salute.
E manca il convitato di pietra, che nessuno osa nominare, forse per paura di essere considerato non politicamente corretto, l’ipocrisia. Non c’è giorno, infatti, che il non obiettore non abbia richiesta da parte di colleghi obiettori, di interrompere la gravidanza di una loro paziente, di una loro amica o parente, perché gli alti principi etici a cui costoro fanno riferimento spesso crollano quando la gravidanza indesiderata riguarda qualcuno di loro conoscenza. Per non parlare degli obiettori (e delle strutture sanitarie confessionali) che si occupano di diagnosi prenatale, per poi girare la testa dall’altra parte lasciando le donne sole e senza risposte di fronte ad una diagnosi di grave patologia fetale.
Le ragioni delle donne sono ovvie ed evidenti, quasi sempre trattate frettolosamente come “capricci” a cui non si dovrebbe dare ascolto o che si dovrebbero paternalisticamente ricondurre alla ragionevolezza o alla retorica dell’”istinto materno” e della “sacralità” della vita. Sono in primo luogo ragioni che riguardano la loro salute (bisogna ricordare che nel mondo ogni anno ufficialmente muoiono 47.000 donne per aborto non sicuro, e che un numero altissimo subisce le conseguenze di pratiche abortive fatte in clandestinità), ma sono anche ragioni che comportano un’assunzione di responsabilità nei confronti di un figlio che non sarebbe accettato, amato, che si preferisce non far nascere.

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Le ragioni dei non obiettori sono altrettanto ovvie ed evidenti, al di là del dovere di applicare una legge dello Stato: essi rispondono ad una domanda di salute delle donne, lo fanno da operatori sanitari, da medici in primo luogo. Sono coloro che al refusal of care degli obiettori contrappongono l’assunzione di responsabilità del conscientious committment. Il codice deontologico afferma che il medico deve agire libero da condizionamenti ideologici, basandosi esclusivamente sulle attuali conoscenze scientifiche (il medico agisce in “scienza e coscienza”). Mi piacerebbe capire dove sia l’evidenza scientifica della presenza di un’anima nell’embrione, o meglio, nel patrimonio genetico dello zigote. Mi piacerebbe capire dove sia l’evidenza scientifica dell’affermazione che l’embrione (o meglio: il DNA dell’embrione) è già persona, soggetto di diritti alla stessa maniera della donna che richiede di interrompere la gravidanza. Purtroppo, siamo sempre più spesso costretti a constatare che più che alle evidenze scientifiche dei libri di medicina siamo chiamati a fare riferimento ai dogmi del Sacro Libro quali verità indiscusse e indiscutibili.
Nell’amplissimo spazio dato al presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici, quest’ultimo fa riferimento al modello di salute e di medicina al quale, da medici dovremmo guardare e dal quale dovremmo trarre ispirazione nella nostra pratica clinica, il modello al quale dovrebbe ispirarsi il Sistema sanitario nazionale tutto: «La medicina non è un distributore automatico di prestazioni e di esami richiesti in modo autonomo, né può soddisfare qualsiasi prestazione, magari anche impropria o richiesta in maniera compulsiva dagli utenti».

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Chiunque lavori con le donne sa bene che nessuna richiesta di interruzione di gravidanza è “impropria” o “compulsiva”. L’alleanza terapeutica a cui fa riferimento il medico cattolico è tutta in una visione paternalistica della medicina che dimentica la definizione di salute dell’Oms del 1948. Sarebbe bene ricordarla a lui, e anche al sottosegretario alla Salute: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non meramente assenza di malattia […] un diritto umano fondamentale».

Anna Pompili, Amica (Associazione medici italiani contraccezione e aborto)

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