Tiburtina, il giorno dopo lo sgombero dei migranti. Aiutati dai cittadini
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Tiburtina, il giorno dopo lo sgombero dei migranti. Aiutati dai cittadini

Tutti di passaggio verso il Nord. 'Forse gli italiani sono brave persone, ma è difficile per un rifugiato stare in Italia'.

Tiburtina, il giorno dopo lo sgombero dei migranti. Aiutati dai cittadini
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12 Giugno 2015 - 14.34


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Stazione Tiburtina, il giorno dopo lo sgombero dei migranti: sembra essere tornato tutto come qualche giorno fa. Pendolari, viaggiatori occasionali e qualche immigrato seduto sulle panchine. Delle immagini di ieri spiattellate su tv e giornali con i volti dei tanti rifugiati rincorsi dagli agenti di polizia restano solo cartoni e vestiti abbandonati. I circa 200 migranti che stazionavano tra gli alberi vicino alla stazione degli autobus non ci sono più. Ma non sono andati via. Sono solo un po’ più in là. Soprattutto in via Tiburtina, al fresco delle mura del Verano. Hanno capito che dalla stazione devono tenersi alla larga, altrimenti arriva la polizia. E basta un rapido passaggio di una volante in perlustrazione per farli dileguare nuovamente tra auto parcheggiate, cassonetti dell’immondizia e chioschi.

Ieri la polizia è intervenuta portando via 18 eritrei, ma alle difficoltà i migranti sono abituati e nelle loro parole di oggi si capisce che mettono in conto ostacoli di questo tipo alla loro corsa verso il Nord. Sì, perché nessuno di loro ha intenzione di restare in Italia. Germania, Danimarca, Svezia: l’importante è che sia altrove. “È difficile per un rifugiato stare in Italia – racconta uno dei migranti seduto alle spalle del Verano -. In altri paesi non è così”. Viene dall’Eritrea. Ha attraversato il Mediterraneo come tutti qui. È stato in Libia per quattro mesi. E alla domanda su come li ha passati fa un sorriso ironico. “It’s very dangerous”.

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È davvero pericoloso. Dice di essere stato a Tripoli. Di aver aspettato e dormito per strada. È uno dei pochi che parla inglese non senza difficoltà. Vicino a lui ci sono bambini, donne, ragazzi. Sono tutti giovanissimi. Ieri, come tutti gli altri, ha assistito al blitz della polizia. E come gli altri è scappato. “Forse gli italiani sono brave persone – spiega alzando le spalle -. Forse non sanno cosa fa il governo”. Qui, nei pressi della stazione sono diverse le organizzazioni che portano aiuto, ma ci sono anche singoli cittadini. “Qualcuno ci ha portato cibo e acqua – racconta – . Erano persone normali, non il governo”.

Molti dei migranti scappati ieri alla retata sono andati ad affollare l’ingresso del centro Baobab, a due passi dalla stazione. Ma il centro è pieno. Non c’è posto per tutti, neanche nel cortile. “Non mi piace l’Italia – racconta un altro dei migranti, anche lui eritreo -. Mio fratello è in Danimarca. Sto aspettando che mi mandi i soldi e poi parto”. Dice di non avere documenti e di non aver lasciato le impronte digitali. Sorride: secondo quanto racconta non è stato un problema. Anche se è la seconda volta che tenta di raggiungere il fratello. È stato in Libia, ha attraversato il Mediterraneo, ha speso tanti soldi. Il solito refrain. Ma alla sofferenza non ci si abitua mai. “Ci ho messo mesi per arrivare. E poi il mare. Tante barche finisco giù – fa segno con le mani e il suo volto diventa più cupo-. Alcune persone che conoscevo sono affogate”.

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Tiburtina è solo un luogo di passaggio. Per molti necessario. Come la stazione di Milano Centrale. Come il primo approdo sulle nostre coste. Non è l’Italia la terra promessa. Si va altrove. Perché ci sono i parenti, per i conoscenti, perché ci sono gli unici contatti possibili. O anche soltanto per sentito dire. “Voglio andare in Germania – racconta un ragazzo di vent’anni -. O altrove. Perché non lo so”. Anche lui è passato dalla Libia e quando lo racconta, porta le dita al collo, mimando un coltello, e poi alle tempie. “Sono pazzi – dice -. È pericoloso”. Tanti i volti spaesati. Molti di loro girano freneticamente tra un gruppo all’altro lasciando numeri di cellulare. Alcuni portano vestiti per tutti. Tanti sono per le strade di Roma da pochi giorni. Un ingorgo da tanti definito “effetto Schengen”, per via dei controlli alle frontiere in occasione del G7 in Germania, ma tra i migranti in attesa di riprendere il viaggio sono tanti a non sapere della sospensione temporanea di Schengen. Aspettano: l’ok dei passeur o i soldi dai parenti. Poi si riparte verso il Nord. (ga)

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